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Economia
I populismi vengono da lontano. Che cosa succede dopo il voto in Olanda?

I populismi vengono da lontano e uno degli elementi comuni alle diverse esperienze è senza dubbio l'appellarsi al popolo quale fonte primaria ed esclusiva della sovranità che va al di là di ogni forma di rappresentanza. Anche se poi la parola “popolo” diventa un qualche cosa di astratto ed indefinito, utilizzato per contestare i gruppi dirigenti e dare forza politica ad un malessere più o meno esteso, ma senza approfondire le vere ragioni che stanno alla base.

Sono molte le delusioni che animano la ventata populista che attraversa l'Europa, ma non solo, e che viene identificata anche con il termine di “sovranismo”: gli effetti della globalizzazione,  la lunga crisi economica che ha accentuato le diseguaglianze, il protrarsi della difficoltà e di un periodo complesso per i ceti medi, il predominio senza possibilità di controllo della finanza sull'economia reale, l'imposizione di regole da parte di una burocrazia europea avvertita come estranea alle esigenze dei popoli europei, la crisi della socialdemocrazia e della sinistra in generale che fatica a giocare una partita in attacco e ad essere propositiva con nuove ed innovative idee.

Chiediamo ad Alessia Potecchi, Presidente dell'Assemblea del Partito Democratico di Milano, che cosa pensa degli sviluppi del populismo in Europa

"Il populismo critica le classi dirigenti e tutto quello che in qualche modo fa parte del loro mondo e del loro operato, tentando di sostituire ad esse un concetto diverso di comunità che si divide  fra un leader carismatico e quel popolo che a lui affida incondizionatamente le ragioni del suo malcontento e dei suoi timori. In questo senso il populismo raccoglie in sé due azioni antitetiche: una vena democraticistica (vedi l'uso di internet e dei social per prendere decisioni) e una  tendenza autoritaria".

Ma qual'è la ragione di fondo di questa tendenza che sembrerebbe inarrestabile?

"La spinta verso il populismo trova una delle sue ragioni di fondo nel profondo distacco fra politica e cittadini. In Europa la sudditanza di gran parte della cultura di sinistra e riformista nei confronti del neoliberismo e dello strapotere della finanza ha creato un ulteriore vuoto nelle attese dei ceti sociali più duramente colpiti dalla crisi e da politiche di rigore a senso unico. La concentrazione della ricchezza in poche mani indica il livello di rottura dirompente che si è determinato fra i pochi che hanno ed i molti che temono di perdere tutto: da qui la forte protesta verso la classe dirigente. L’Europa deve poggiarsi sulla comunione della legislazione e sulla solidarietà".

Non mi sembra che i politici stiano facendo molto per contrastare il fenomeno

"Non è vero: il documento firmato dai 27 leader dell’Unione Europea in occasione del 60° anniversario del Trattato di Roma è incentrato sul rilancio dell’integrazione e sul contenuto sociale che in questi anni è un po’ mancato, paralizzando i processi distributivi e polarizzando di conseguenza la ricchezza. Tutto questo richiama il discorso del sistema fiscale e della sua armonizzazione. Attualmente l’Europa appare bloccata, non appare in grado di affrontare la globalizzazione e le sfide mondiali, una comunità che non si è consolidata e che non ha portato a termine il processo di integrazione iniziato nel 1957. Occorre quindi agire con determinazione per riprendere il percorso di integrazione superando l’attendismo degli ultimi anni.

Quindi l'aspetto fiscale è un elemento determinante?

"L’aspetto fiscale è uno dei problemi che va affrontato, la concorrenza generata da una forte disomogeneità porta ad una fiscalità negativa e i Paesi con un debito pubblico alto come il nostro non possono competere con quelli più ricchi, perché non possono giocare al ribasso con il tema della pressione fiscale. La stessa concorrenza fiscale non riguarda solo la quantità, ma anche la qualità della tassazione. Noi abbiamo per esempio un sistema obsoleto e molto complesso, così come una legislazione vecchia in campo economico e finanziario rispetto a quelle che sono le esigenze di oggi.

In pratica che cosa si può fare?

"Occorre guardare avanti e muoversi facendo delle proposte concrete, dobbiamo riscoprire la forza dell’innovazione: l’Italia ha un ruolo importante nelle istituzioni europee  e deve quindi sfruttarla per stimolare l’integrazione. L’uniformità va raggiunta a piccoli passi senza forzature, ma con decisione. Dobbiamo trasmettere uno scenario di “speranza” cercando di migliorare il sistema con delle riforme realistiche ed efficaci. Bisogna partire dal basso ascoltando le paure e i bisogni delle persone rendendole nuovamente partecipe del progetto Europa e coinvolgendole: la società intera deve tornare al centro del progetto facendo riscoprire il sentimento europeo perduto. La vera svolta è quella di tornare ad una condivisione superando una fase di allontanamento e pessimismo".

Tornando al populismo, possiamo dire che è stato provocato solo dal distacco fra politica e cittadini?

"Beh, non solo. Un altro motivo che ha incoraggiato l'emergere dei populismi va cercato nella divisione sociale, che ha disperso interessi e bisogni sia dal punto di vista generazionale, sia da quello legato al reddito e alla dequalificazione professionale derivante dall'evoluzione tecnologica. L'euro è diventato l'emblema e il bersaglio di questo impoverimento di interi strati sociali invece che un punto di forza per la costruzione di una migliore e più unita comunità europea. Certamente esercita un grande impatto il clima di incertezza che attraversa tutte le società più sviluppate. L’estinguersi di  modelli che erano in grado di offrire sicurezze sul futuro, la gestione del potere incentrato sulla cura dell'esistente, il declino di valori fondanti come la solidarietà, la famiglia, il rispetto della persona e delle sue problematiche: questi devono essere sempre al centro dell’attenzione e dell’azione".

Quindi in un certo senso si sta affermando l'individualismo?

"Infatti il populismo si propaga anche perché le tendenze individualistiche prevalgono sulla centralità della persona e sulla sua dignità. La centralità della persona  ha un senso se esistono forze in grado di accettare le sfide che vanno affrontate e sono in grado di puntare e guardare al futuro di tutti, ma tutto questo deve essere anche supportato da una cultura che sia in grado di riproporre ragioni di coesione, di collaborazione, di dialogo".

Quale potrebbe essere una via d'uscita?

"Non è facile rispondere in maniera efficace a questa situazione e contrastare l’avanzata dei populismi pericolosi per le nuove generazioni, colpite sempre di più da un forte precariato, ma anche per gli anziani che rischiano di vedere le loro garanzie pensionistiche. Dobbiamo allora dimostrare che l'isolamento, il nazionalismo, il razzismo risorgente non solo sono fenomeni antistorici (e quando si sono concretizzati hanno prodotti danni irreversibili) ma anche fattori che possono perpetuare diseguaglianze, emarginazione, perdita di diritti. Mine vaganti che possono condannare intere generazioni ad una condizione di sudditanza nei confronti di leadership, che diffondono insicurezza e pessimismo e che fanno forza sulla paura di perdere quello che si ha, per affermare un dominio che svuota di valore la partecipazione democratica e impedisce la formazione di nuove classi dirigenti preparate e competenti".

Ma anche l'individualismo andrebbe contrastato

"In questo contesto occorre fare in modo che le forze sociali e i corpi intermedi  evitino di chiudersi in una autoreferenzialità perdente: la mediazione sociale, l'organizzazione delle esigenze nella società del lavoro, la valorizzazione del lavoro hanno più che mai bisogno di organizzazioni che vivono nel sociale e nei luoghi di lavoro, che ne colgono le istanze e ne sappiano rappresentare i bisogni.  Non è vero che manchino temi di impegno e di azione per le forze sindacali e dell'associazionismo: il valore del lavoro, le nuove frontiere del welfare, l'equità fiscale, il diritto ad una istruzione al passo con i tempi, l'opera tesa a ridurre le diseguaglianze sono altrettante sfide da affrontare".

Quindi stiamo affrontando il tema del riformismo

"Si pone una questione di democrazia. Da sempre il riformismo ha cercato di  coniugare il progresso sociale con i valori di libertà e democrazia. Oggi così come sono appaiono appannati e non in grado di determinare nuova fiducia. Restare fermi è un rischio enorme perché significa imboccare la via della regressione e di avventure autoritarie. Andare avanti significa confrontarsi in primo luogo e puntare e investire nel futuro che si vuole costruire per l'Europa, con l'attualizzazione dei valori di una sinistra aperta, plurale e riformista per aprire una nuova stagione di innovazione e di proposte coraggiose. Dobbiamo agire e fare in maniera concreta".

Sembra che il recente voto in Olanda abbia portato una ventata di speranza

"E' vero, l’Europa ha tirato un sospiro di sollievo per la vittoria di Mark Rutte nelle elezioni in Olanda. I populisti islamofobi e antieuropei di Geert Wilders non sono riusciti a confermare le previsioni che fino a poco prima del voto li davano vincenti. Il voto in Olanda si caratterizza per l’avanzata dei Verdi e per il crollo dei Laburisti che scendono da 39 a 29 seggi. Il messaggio europeo dell’unione ha tenuto. Ora si attende l’esito delle elezioni in Francia e in Germania. Rutte è stato abile rispondendo in maniera decisa ed efficace alle invettive di Erdogan che aveva accusato l’Olanda di essere addirittura responsabile del massacro di Srebrenica. Efficace la definizione del voto olandese di Rutte: 'il voto olandese è il quarto di finale di una partita contro il populismo, prima della semifinale in Francia e della finale in Germania'."

Che cosa si può fare in Europa?

"Prima dei prossimi decisivi appuntamenti l’Europa deve uscire e battersi in prima linea, deve mobilitarsi. L’antidoto all’antieuropeismo è quello di andare avanti sulla strada dell’integrazione europea, sociale ed economica. L’Italia ha un’occasione straordinaria. Il 2017 vede realizzarsi delle occasioni importanti per il nostro Paese che ha ospitato la celebrazione della ricorrenza del 60° anniversario dei Trattati per la costituzione e fa parte quest’anno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E’ un’occasione che va colta. L’Italia non può perderla e può guidare questo percorso. L’Europa deve uscire dal pantano. E’ ora di riprendere il cammino sulla strada dell’integrazione economica, sociale e politica. E’ decisivo, per sconfiggere ogni forma di populismo e di sovranismo, mettere in soffitta la politica dell’austerità e puntare ad un processo economico di sviluppo e crescita impostando un piano realistico che assicuri un futuro ed un ruolo vero all’Europa nell’epoca della globalizzazione".                                                                                          

 

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