Economia

Italia in vendita? Ma anche no: Campari punta al rum francese

Luca Spoldi

Dalla nautica all’alimentare, dalle infrastrutture al settore finanziario, i gruppi italiani realizzano da anni grandi operazioni di fusione e acquisizione

Pernigotti, Gancia, Perla, Versace, Gucci, Loro Piana, Bulgari, Parmalat, ma anche Bnl, Cariparma, Magneti Marelli. L’elenco di marchi e industrie italiane finite in mani straniere sembra allungarsi ogni giorno di più, ma accanto a un’Italia in vendita c’è anche un’Italia che acquista, da Generali, che ha appena rilevato in Portogallo il 100% di Seguradoras Unidas e di AdvanceCare per 600 milioni complessivi, a Campari che ha appena avviato una negoziazione in esclusiva con la Financiére Chevrillon per rilevare la francese Rhumantilles, proprietaria del 96,5% di Bellonnie & Bourdillon Successeurs, a sua volta proprietaria di marchi di rhum “premium” come Trois Riviéres e Maison La Mauny, con una forte presenza in Francia e un potenziale di crescita nei mercati internazionali, oltre a Duquesne, destinato al mercato locale della Martinica.

I colpi di Generali e Campari sono solo gli ultimi di un elenco di operazioni di acquisizione altrettanto corposo rispetto alle cessioni. Secondo le statistiche stilate da Kpmg nel 2018 le aziende italiane hanno effettuato fusioni e acquisizioni per 93,9 miliardi di euro, un record influenzato positivamente dalle “zampate” di Luxottica (che ha concluso la business combination da 24 miliardi con la francese Essilor) e Atlantia (che ha acquisito in cordata con Acs e Hoctief il concessionario autostradale spagnolo Abertis per 16,5 miliardi). Risultati che peraltro continuano a scontare l’incertezza politica italiana e la volatilità dei mercati finanziari, alle prese con un deterioramento dello scenario macroeconomico e coi rischi latenti di un riaccendersi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina.

Anche nel 2019, come testimoniano lo shopping portato avanti da Generali e Campari, la musica non sembra destinata a cambiare e in qualche caso si registra anche un “gradito ritorno”, come quello di Wider Yachts, cantiere nautico Wider di Castelvecchio di Monte Porzio (in provincia di Ancona) specializzato in superyacht di lusso (i modelli Wider 150 e Wider 165 vengono venduti a prezzi tra i 26 e i 30 milioni di euro) ed express cruiser che il gruppo cinese Genting Hong Kong, entrato come socio al 50% nel 2007 e poi salito al 100% nel 2012, ha appena rivenduto ad una cordata composta dalla monegasca Nautical Hybrid Tech guidata di Marcello Maggi (già co-fondatore di Isa - Cantiere Internazionale di Ancona), dalla svizzera Zepter Group e dalla società d’investimento italiana Hopafi Holding.

Proprio la nautica, insieme al lusso e all’enogastronomia, sembra un settore dove il “made in Italy” è sempre più intenzionato a farsi rispettare e, quando possibile, cogliere l’occasione per qualche colpo all’estero, respingendo l’arrembaggio dei gruppi esteri. E’ quanto accaduto, ad esempio, alla viareggina Perini Navi che dopo aver respinto offerte di svedesi e gruppi orientali ha ceduto già nel 2017 il 49,9% del capitale alla Fenix Holding di Dino Tabacchi (già presidente di Salmoiraghi & Viganò) attraverso un aumento di capitale da 27 milioni di euro. Un accordo che ha portato bene visto che il 2017 ha visto i ricavi risalire oltre i 40 milioni di euro, con l’obiettivo di chiudere il 2018 in pareggio e segnare un utile a partire dal 2020.

Sulla nautica ha puntato anche la famiglia Trevisani, che negli scorsi giorni è tornata al centro dei riflettori a Piazza Affari avendo presentato un ricorso contro la manovra di rafforzamento patrimoniale varata ieri dal Cda (che prevede un aumento di capitale in opzione per 130 milioni già garantito integralmente dai soci Fsi e Polaris e dalle banche finanziatrici, un ulteriore aumento da 63,1 milioni mediante conversione crediti e un aumento da 20 milioni al servizio dei “loyalty warrant”), chiedendo che la società venga posta in amministrazione giudiziaria. I Trevisani, già proprietari del marchio Sly dal 2010, nel 2014 hanno poi rilevato lo storico Cantiere del Pardo, di Forlì, dalla precedente proprietà (il gruppo tedesco Bavaria Yachtbau).

Insomma, nonostante tutte le vicissitudini, l’economia italiana mostra di essere ancora vitale e i suoi gruppi e marchi di maggior prestigio oltre a poter rappresentare ghiotte prede per fondi di private equity e grandi aziende estere sono in grado di portare a segno importanti operazioni di fusione e acquisizione, come quella portata a termine lo scorso aprile da Ferrero che ha rilevato negli Usa per 1,2 miliardi di euro gli snack, i gelati e i biscotti di Kellogg, dopo essersi aggiudicata un anno prima, sempre in Nord America, le attività dolciarie di Nestlé. Chi parla di un’Italia destinata a essere “preda e schiava” dei gruppi esteri o non conosce ciò di cui parla o vuole dipingere la realtà a tinte ben più fosche del dovuto.