Economia

Mediaset, ricavi per 10 mld e 1,2 di utili: così prepara la sfida a Netflix

Marina Berlusconi: il gruppo del Biscione parla con tutti per dar vita ad un campione continentale della televisione generalista in chiaro

Se Mediaset sta “parlando con tutti” tranne che con Vivendi come ha spiegato sempre la figlia dell'ex Cavaliere, è chiaro che sta parlando non soltanto con ProsibienSat.1 ma anche con gruppi come Tf1 che per il momento si è tirato fuori: una eventuale aggregazione “a quattro” (Mediaset, Mediaset Espana, ProsibienSat.1 e Tf1), della quale al momento non vi è peraltro alcuna certezza, potrebbe contare su numeri importanti e, soprattutto, offrirebbe un modello di business e di contenuti molto diverso dagli “over the top” (Ott) come Netflix, che punta molto sulle serie tv, dalla tv satellitare di Comcast-Sky (grandi cinema ed eventi sportivi) e dai colossi del cinema/entertainment come Walt Disney-21st Century Fox (con la sua sterminata library).

PIER SILVIO BERLUSCONI
 

Partendo dai ricavi, il nuovo polo televisivo generalista europeo, che verosimilmente punterebbe alla parte più matura del pubblico piuttosto che ai “millenials”, partirebbe a 9,7 miliardi registrati nel 2018 (4 miliardi per ProsibienSat.1, 3,4 miliardi per Mediaset contando anche i 982 milioni circa di Mediaset Espana e 2,3 miliardi per Tf1) e da 1,238 miliardi di utile netto (1,013 miliardi per il gruppo tedesco, 97,1 milioni al netto dei proventi della cessione di Ei Towers per il gruppo italiano, 128 milioni per i francesi), con l’ambizione di tornare a veder crescere tanto i primi quanto i secondi.

Netflix dal canto suo ha chiuso il 2018 con quasi 11,7 miliardi di dollari di fatturato e poco meno di 560 milioni di utile netto, Disney è ormai un colosso da 59,4 miliardi di dollari di fatturato e quasi 12,6 miliardi di utile netto, Comcast-Sky è arrivata a 94,5 miliardi di giro d’affari e 11,7 miliardi di utile netto. Numeri da far tremare le vene ai polsi di qualsiasi rivale, anche dell’eventuale futuro “campione europeo”, nel caso di uno scontro frontale. Ecco perché l’offerta di contenuti di Mediaset, anche nell’ambito di un’integrazione europea, per risultare attraente per i grandi investitori pubblicitari dovrebbe rimanere focalizzata sui talk, sui format e sui quiz e giochi a premi, oltre ai grandi eventi dal vivo, più che puntare su sport, serie tv o film.

mediaset studi
 

Certo, sulla carta tutto sembra così chiaro da spianare la strada alla futura “grande alleanza”. In realtà le cose non stanno proprio così perché oltre alla diversa cultura aziendale Mediaset, ProsibienSat.1 e Tf1 sono tra loro ancora molto differenti sotto il profilo della composizione del capitale e ciò potrebbe creare problemi di governance. Anche se al momento, secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, la strada studiata fino ad ora per dare forma al polo europeo del piccolo schermo è quella della partnership e non quella di una fusione a tutto tondo. 

Il gruppo italiano oltre ad avere il problema di neutralizzare definitivamente Vivendi (in attesa di un per ora ancora difficile “trattato di pace” coi francesi), socio al 19,19% ma con un 10% di diritto di voto “congelati”, è controllato dai Berlusconi tramite Fininvest al 41,3% (oltre ad un 3,8% di azioni proprie). 

Per contro ProsibienSat.1 è una public company e vede il 9,77% del suo capitale flottante (la società detiene il restante 2,3% come azione proprie), in gran parte in mano a fondi americani, inglesi o tedeschi. Secondo dati Morningstar, i soli azionisti con partecipazioni superiori all’1% sono attualmente Deka Investment (16,6%), Allianz Global Investors (8,3%), Capital Research (2,4%) BlackRock Asset Management (5%) e BlackRock Fund Advisors (poco meno del 2%). Infine TF1 Group è controllato per il 43% dal gruppo Bouygues (a sua volta controllato al 21,6% a Scdm, holding dei fratelli Martin e Olivier Bouygues che ha il 29,4% dei diritti di voto) e per un 6,8% dai soci-dipendenti.

Riusciranno i Berlusconi a convincere i fondi tedeschi e la famiglia Bouygues a fare fronte comune per reggere alle crescenti sfide poste dalla convergenza tecnologica e dai colossi americani? La risposta non dovrebbe tardare molto ad arrivare.