Economia

Moncler attira i grandi investitori. Il segreto? Poco debito, alta marginalità

Fabio Pavesi

Non solo Visco, anche Blackrock e Invesco scommettono su Moncler. Ecco perché gli investitori in questa bufera scelgono titoli come il brand di Ruffini

Poco debito, marginalità elevata e forza del brand: la formula vincente di Ruffini

In tempi così drammatici e incerti, la ricerca di azioni su cui investire è particolarmente difficile. Non c’è pressochè titolo che non sia impattato dall’Orso che si è abbattuto sui mercati. Certo utilies, telecom, giganti del web, farmaceutica e grande distribuzione alimentare sono i settori probabilmente meno colpiti sui fatturati e sui profitti dalla gigantesca ondata di crisi e sociale economica e finanziaria che imperverserà sul 2020.

Bankitalia tra i soci di Moncler: anche Visco si mette il piumino

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Il secondo trimestre si apre in borsa all’insegna di nuove prese di profitto, dopo un rimbalzo che ha consentito nella seconda metà di marzo di recuperare circa un quarto
delle perdite accumulatesi dall’inizio della crisi da coronavirus. Non fa eccezione Moncler, che si muove in sincrono col Ftse Mib nonostante la notizia dell’ingresso tra i soci di Banca d’Italia.
Consob ha infatti segnalato che lo scorso 30 marzo Via Nazionale è salita appena sopra
l’1% del capitale di Moncler, investendo quindi circa 85 milioni di euro. Meno di quanto investito a suo tempo da Giovanni Tamburi per entrare nel capitale di Ruffini Partecipazioni Srl (cui fa capo il 22,5% di Moncler) ed una frazione di quanto messo sul piatto da investitori istituzionali del calibro di BlackRock (5,02%), Invesco (3,33%), Morgan Stanley Asia IM (3,25%), il fondo sovrano di Singapore, Temasek Holdings (al 2,87%), Norges Bank (2,71%), Vanguard (2,14%), GIC Private Limited (altro fondo sovrano di Singapore, all’1,63%) e Fidelity (1,59%). In tutto un blocco di azionisti finanziari di prima grandezza che pesano per circa il 22,5%, ossia quanto Remo Ruffini e Giovanni Tamburi, quest’ultimo in particolare, secondo alcuni,
disponibile ad agire da “sponsor” di un eventuale polo del lusso che aggregasse altri brand del lusso quali Armani, Versace, Praga o Ferragamo. Il che vuol dire che sul mercato resta un flottante pari al 55% del capitale, abbastanza per continuare a far circolare voci di un interesse da parte di Kering, anche se a inizio anno il patron del gruppo francese,
François-Henri Pinault, ha smentito ogni interesse per Moncler e Versace. Così qualche trader a Piazza Affari inizia si chiede se le mosse di Banca d’Italia, che il 20 marzo è anche salita appena sopra l’1% di Leonardo (in questo caso investendo circa 35 milioni di euro, dato che la capitalizzazione del gruppo guidato da Alessandro Profumo è pari a meno della metà di quella del gruppo dei piumini), avvenute in piena emergenza coronavirus, debbano intendersi solo come operazione di trading, o piuttosto il segnale della volontà di Via Nazionale di scendere in campo a difesa l’italianità di gruppi strategici rispetto ad eventuali mire di concorrenti stranieri, europei o extraeuropei che potessero essere. Un’idea non così peregrina, di questi tempi, che andrebbe a braccetto con l’eventuale costituzione di un polo nazionale del settore moda-lusso.

Luca Spoldi

Al di là dei settori più resistenti, uno degli strumenti di selezione è quello antico. Poco debito, marginalità elevata e forza del brand. Non è casuale che grandi investitori istituzionali cerchino società di questo tipo. Una di queste è senza dubbio Moncler. Tra gli ingressi recenti nel capitale della società di Remo Ruffini va segnalato l’acquisto venerd’ 27 marzo di un congruo pacchetto del 5% da parte di Blackrock.

Poco prima il 13 marzo Invesco ha puntato le sue carte comprando il 3,33% delle azioni. Norges Bank investitore storico ha mantenuto la sua posizioni del 2% nel capitale e lunedì scorso ecco arrivare anche Banca d’Italia che ha acquistato titoli Moncler per l’1%. Certo quest’anno anche sulla società dei piumini si riverberanno gli effetti nefasti della caduta della domanda e dei ricavi.

Ma conta in questo momento per Moncler come per altri la capacità di tenuta alla crisi. E in questo caso munizioni nel cassetto non mancano. Basti ricordare i dati strutturali della società. Nel 2019 il gruppo dei piumini ha chiuso il bilancio con un margine operativo lordo del 34% sui ricavi.

Vuol dire che ogni 100 euro di fatturato, 34 è il margine che residua pagati i costi. Un margine di tutto rispetto. Tra l’altro molto stabile nel tempo. Ogni 100 euro di ricavi (pre crisi coronavirus) diventano utili netti 22 euro.

Una grande profittabilità. Non solo il gruppo non ha di fatto debiti: la cassa netta supera i 600 milioni di euro. Un cuscinetto di liquidità che aiuterà a stemperare i danni del virus. E se si guarda alla Borsa Moncler ha dimostrato una certa resistenza.

Il titolo prima dello scoppio della pandemia quotava 39 euro. È ovviamente sceso fino ai 26 euro di metà marzo. Da allora un bel rimbalzo fino ai 32,6 euro di ieri. Segno che la carta d’identità fatta di grande redditività, debito assente e grande forza patrimoniale ha funzionato.