Economia
Banche, chiuse 5 filiali al giorno nel 2018. A Poste Italiane i clienti persi
In un decennio sono calate le serrande su un terzo degli sportelli bancari italiani, con ca. 20mila esuberi. Chi ne ha approfittato? Soprattutto Poste Italiane
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Le banche italiane hanno sempre più voglia di occuparsi di assicurazione e risparmio gestito, vista la crescente concorrenza non solo delle piccole ma aggressive startup della Fintech, ma soprattutto di un concorrente ben radicato sul territorio come Poste Italiane. Ma puntare tutto sul gestito e magari proporre un nuovo modello contrattuale sulla scia del “ibrido” sperimentato da Intesa Sanpaolo non convince i rappresentanti dei lavoratori, che suggeriscono: anziché continuare a tagliare sportelli e trasformare impiegati in consulenti finanziari, si potrebbe investire in nuove competenze e provare a diversificare maggiormente il business model di ciascun istituto rispetto ai propri concorrenti.
In una conferenza stampa stamane a Milano in cui i sindacati di categoria hanno presentato la piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria (con cui chiedono, tra l’altro, un aumento salariale di 200 euro medi mensili), Fabi, First Cisl, Fisac, Uilca e Unisin hanno presentato dati molto interessanti circa l’andamento del settore del credito in Italia.
Negli ultimi dieci anni gli istituti operanti in Italia si sono più che dimezzati (erano 300, ora sono 115: 48 gruppi, 64 banche indipendenti, due holding Bcc e Raiffeisen in Alto Adige), con la conseguente chiusura di un terzo degli sportelli (calati dal record storico di 34.139 toccato nel 2008 agli attuali 25.485), chiusura che è accelerata negli ultimi anni: solo nel 2018 sono state infatti chiuse ben 1.889 filiali bancarie, in pratica 157 ogni mese, ossia più di 5 sportelli al giorno. Il risultato: migliaia di posti di lavoro in meno (48 mila prepensionamento ed uscite volontarie tra il 2000 e il 2010, altre 20 mila uscite circa attese tra il 2010 e il 2020, col rischio che i numeri vadano rivisti al rialzo a consuntivo).
Segno che il tradizionale modello distributivo tramite una rete di filiali fronte strada sta tramontando, certamente sia per gli elevati costi operativi che tale modello ha comportato (e che non sono sopportati né dalle startup Fintech né dalle reti di consulenti finanziari) sia per i margini sempre più modesti dell’attività bancaria tradizionale a causa di un permanere dei tassi d’interesse vicini ai minimi storici nonostante un livello di rischio ancora elevato, con sofferenze nette che a fine gennaio erano risalite a 33,4 miliardi di euro complessivi dai 29,5 miliardi di fine dicembre.
Ma accanto a questi problemi strutturali, emerge sempre più chiaramente come della “ritirata” strategica delle banche abbia beneficiato Poste Italiane che hanno dato “con entusiasmo” ospitalità, sottolineano i sindacati, “a quei territori e a quella clientela abbandonata dalle banche” perché ritenuta poco redditizia. Del resto i numeri diramati dal Ceo Matteo Del Fante la scorsa settimana sono una conferma di questo quadro: Poste Italiane ha chiuso il 2018 con un utile netto di 1,399 miliardi, rispetto ai 689 milioni del 2017, grazie in particolare all’aumento dei ricavi e del risultato operativo, oltre che a profitti non ricorrenti per 385 milioni.
L’utile operativo è invece salito a 1,499 miliardi (+33,5% su base annua), grazie al maggiore contributo di tutti i settori operativi e alle efficienze di costo. Il Cda di Poste Italiane ha così potuto proporre il pagamento di un dividendo di 0,441 euro ad azione, in aumento del 5% rispetto agli 0,42 euro del 2017, che ai livelli attuali di quotazione (8,6 euro circa, quasi il 18% in più dei livelli di 12 mesi fa) equivale ad un rendimento superiore al 5,1%, decisamente interessante.
(Segue...)