Economia
Coronavirus e automotive, tra ripresa economica e luce alla fine del tunnel
Intervista a Nicola De Mattia, Amministratore Delegato di Targa Telematics
La pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto significativo su quasi tutti i settori di mercato e ha spinto la totalità dei governi del mondo a intervenire con misure straordinarie e stimoli per far ripartire i consumi e le economie “congelate” dal lungo lockdown. In Italia, dal 1° agosto sono scattati i nuovi incentivi per il settore auto – stabiliti dalla legge di conversione del decreto Rilancio – per dare un po’ di fiato all’automotive, che rappresenta la industry che maggiormente contribuisce al PIL italiano (oltre il 10%) e che è tra le colonne portanti della manifattura del Belpaese. Ne abbiamo parlato con Nicola De Mattia, ceo di Targa Telematics, azienda tech che vanta oltre 20 anni di esperienza nel segmento dei veicoli connessi.
De Mattia, cosa ha funzionato e cosa no della misura introdotta dal Governo?
Senza dubbio, bisogna prendere atto che delle risorse siano state allocate e che la gente abbia risposto con decisione a questi stimoli. Non si può negare che si sia creato – grazie agli incentivi – un clima positivo di propensione all’acquisto, vitale in questo preciso momento storico. Tuttavia, ci sono una serie di elementi che, a mio parere, non vanno nella direzione giusta.
Quali sarebbero?
Prima di tutto, l’esiguità della misura – appena 1 miliardo di euro – in rapporto a quanto deciso dagli altri tre grandi paesi europei che fanno dell’automotive un asset fondamentale dei loro sistemi produttivi, ovvero Germania, Francia e Spagna. In Germania, il totale delle risorse messe a disposizione è pari a 5 miliardi. In Francia, addirittura, si arriva a 8 miliardi. La Spagna ha stanziato invece 3.75 miliardi. Inoltre, funzionano poco i limiti al prezzo di acquisto, che focalizzano le compravendite sui veicoli di taglia inferiore, mettendo da parte la fascia alta, con tutte le conseguenze negative per l’erario in termini di minor gettito IVA e imposte. Senza contare che sembra che gli incentivi puntino a velocizzare in modo irrealistico una transizione verso i veicoli elettrici, per i quali mancano ancora i presupposti per un’adozione massiva, invece di puntare sul rinnovamento di un parco auto particolarmente datato, che vede circa 10 milioni di auto con un’età superiore ai 10-15 anni e che andrebbe incentivato prima verso una sostituzione con i già virtuosi euro 6. Infine, non è ben chiaro perché si sia deciso di vietare la migrazione degli importi stanziati per i bonus da una fascia all’altra, ove questi rimangano inutilizzati.
Come vede nel futuro il mercato automotive sia in Italia che all’estero?
Nella fase pre-Covid, il settore stava già attraversano una fase di trasformazione e di cambiamenti strutturali, in Italia e nel mondo, sia dal punto di vista tecnologico che per quanto riguarda le modalità di fruizione dei veicoli. Tutto ciò rimarrà immutato anche con l’affievolirsi dell’emergenza sanitaria. In generale, il mercato automotive è legato a doppia mandata agli stimoli e al ciclo economico. Prendendo spunto dalle recenti previsioni ottimistiche del Ministro Gualtieri sulla congiuntura economica, per la industry è auspicabile una robusta ripresa economica nei prossimi trimestri che, insieme al potenziamento delle misure già messe in atto, possa far vedere una luce alla fine del tunnel.
A che punto siamo nello sviluppo delle auto elettriche?
Siamo messi abbastanza bene, il trend di transizione ed evoluzione tecnologica è consolidato. Ci vuole, però, ancora del tempo per migliorare le performance di autonomia dei veicoli, i tempi di ricarica e per lavorare al dimensionamento delle infrastrutture.
La sharing mobility avrà un futuro nel post emergenza sanitaria?
Assolutamente. Credo che una volta risolta l’emergenza sanitaria, il trend di crescita che aveva contraddistinto la sharing mobility negli anni precedenti riprenderà vigore. Stiamo parlando di qualcosa di strutturale che interessa il cambiamento nelle abitudini di fruizione dei veicoli e che non potrà far altro che accelerare con l’avvento delle generazioni future, peraltro meno interessate al possesso dell’auto e più al servizio di mobilità.
Cosa deve fare il Paese per crescere in modo sostenibile nei prossimi anni e recuperare competitività?
Sostanzialmente tre cose: aumentare la produttività delle aziende, investire su formazione e infrastrutture e ammodernare la pubblica amministrazione, iniziando dalla giustizia civile. Tre pillar fondamentali che hanno un unico comune denominatore: il dover ricorrere a logiche e strumenti digitali. La digitalizzazione del Paese non è più rimandabile, si rischia di accumulare un ulteriore gap con l’Europa, difficilmente colmabile in futuro. Tutto questo sarebbe propedeutico all’attrazione di investimenti, soprattutto dall’estero, elemento fondamentale per la nostra crescita.