Economia
Paluani, il re dei dolci fallisce miseramente: sommerso da milioni di debiti
Fine amara per Paluani, storica azienda di Dossobuono (Verona) fondata 102 anni fa (1921) produttrice di pandori, panettoni e colombe pasquali
Paluani fallisce, la fine arriva dopo che lo scorso anno lo storico colosso ha ceduto alla Sperlari le sue attività per 7,6 milioni
Fine amara per Paluani, storica azienda di Dossobuono (Verona) fondata 102 anni fa (1921) produttrice di pandori, panettoni e colombe pasquali di proprietà della famiglia Campedelli, già proprietaria della squadra di calcio Chievo, finita in fallimento lo scorso anno. E pochi giorni fa Maria Attanasio giudice del tribunale di Verona ha dichiarato il fallimento della Paluani spa nominando curatori Matteo Creazzo e Andrea Rossi convocando i creditori il prossimo 23 ottobre per l’esame dello stato passivo. La fine giunge dopo che Paluani lo scorso anno ha ceduto alla Sperlari che fa capo al gruppo dolciario tedesco Katjes International le sue attività per 7,6 milioni di euro all'asta organizzata dallo stesso tribunale, che si è chiusa lo scorso 11 luglio.
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Perché il fallimento? Il tribunale è giunto alla drastica decisione avendo revocato l’ammissione alla procedura di concordato preventivo contestando all’azienda una serie di criticità fra le quali le “assai contenute percentuali di soddisfacimento dei creditori in conseguenza del fatto che a fronte di un ammontare complessivo di quasi 82 milioni di euro, la somma che si mette a disposizione è di soli 815.660 euro”. Di più: gli apporti di finanza da soci e/o amministratori per circa 1,7 milioni “erano tutti privi di qualsiasi garanzia” così come non erano “previsti strumenti giuridici atti ad assicurare una vendita proficua del compendio immobiliare di Dossobuono”.
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Malgrado le richieste dei commissari del concordato “i soci, gli amministratori e il sindaco non hanno fornito le richieste garanzie a copertura degli impegni”, il tutto “con inevitabile prolungamento dei tempi e ulteriore pregiudizio delle ragioni dei creditori” con ciò confermando “la già evidenziata inaffidabilità, nonché la contrarietà ai principi di correttezza e buona fede” del piano concordatario.