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Economia
Pensioni, arriva la quota 100. L'età effettiva? Non è detto che si abbassi
Foto LaPresse

Rispetto alla regola generale sopra esposta, è però prevista già ora la possibilità, per i “lavoratori precoci”, ossia coloro che hanno svolto almeno 12 mesi di lavoro prima del diciannovesimo anno di età, di andare in pensione a 41 anni a prescindere dall’età anagrafica, purché però risultino bisognosi di una tutela, ad esempio perché disoccupati, o perché invalidi almeno al 74% o perché assistono un coniuge o parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità.

In più l’Ape sociale consente a chi ha almeno 30 anni di contributi di di ricevere un'indennità dal 63esimo anno sino al raggiungimento della pensione di vecchiaia (con l’Ape volontaria è comunque possibile ricevere un anticipo della pensione futura sotto forma di prestito bancario erogabile a chi abbia compiuto 63 anni e abbia almeno 20 anni di contributi). L’opzione donna è infine prevista, attualmente, per le lavoratrici di 57 anni (58 se autonome) che abbiano raggiunto i 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2015. La riforma Fornero intervenne sulle precedenti riforme Dini e Maroni, prevedendo, tra l’altro, che dal 2019 l’adeguamento dell’età pensionabile venga effettuato ogni due anni al posto degli attuali tre.

Poichè il contratto di governo non dettaglia come intervenire una volta abolita la Fornero è impossibile dire con precisione cosa succederà a ciascun lavoratore e non è neppure detto che il risultato finale sia un abbassamento dell’età effettiva di entrata in pensione, che al momento (grazie in particolare alla pensione anticipata) è in Italia pari mediamente a 62 anni e 6 mesi per gli uomini, di 62 anni per le donne, anche perché sono filtrate sul punto divergenze di vedute tra Lega (che sarebbe favorevole a confermare la cadenza biennale dell’adeguamento) e M5S (che vorrebbe addirittura abolire il meccanismo).

Ipotizzando tuttavia che anche alcune norme di dettaglio circolate negli scorsi giorni e poi non inserite nel contrato di governo valgano dal primo gennaio del prossimo anno, un lavoratore che quest’anno compia 65 anni e già almeno 41 anni di contributi anziché dover attendere fino al 2020 (quando avrà compiuto 67 anni) per avere diritto alla pensione di vecchiaia, avrebbe già ora tale diritto se verrà confermato che la “quota 100” richieda comunque un minimo di 64 anni e non meno di 36 anni di contributi. Il previsto aggravio dei costi per l’Inps è legato alla platea di lavoratori che potrebbero trovarsi in questa situazione, stimabile in circa 1 milione nel 2019 e 1,3 milioni nel 2020.

Per le generazioni più giovani invece poco cambierebbe: mentre in passato si iniziava a lavorare anche dai 16 anni, con la sola terza media, mentre i ragazzi oggi tendono a diplomarsi o a laurearsi prima di entrare nel mercato del lavoro e ciò nonostante hanno carriere più discontinue, il ricorso alla pensione anticipata tenderà ad essere sempre meno frequente.

In prospettiva l’età effettiva di pensionamento è dunque destinata comunque a crescere, anzi per alcuni esperti si potrebbe tornare ai 65 anni che fino agli anni Settanta del secolo scorso rappresentava il dato medio italiano, col rischio per alcune categorie di non poter andare in pensione prima dei 70 anni o più. Per scongiurare queste ipotesi più che l’abolizione della Fornero servirebbe una profonda riforma dell’economia italiana e del mercato del lavoro che garantisca ai nostri giovani occupazioni più qualificate, meglio pagate e meno precarie. Ma questa è un’altra storia.

Luca Spoldi

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