Economia

Petrolio, prezzi sulle montagne russe. Ecco chi fa soldi grazie alla drammatica guerra in Medio Oriente

di Daniele Rosa

Recuperate le perdite, ma il futuro non è roseo.

Petrolio, tra alti e bassi il prezzo del barile

I Paesi produttori di petrolio uniti nell’OPEC, soffrivano da tempo per il calo dei prezzi del barile (da 90 a 70 dollari). In breve dopo l’attacco iraniano a Israele e in attesa della risposta israeliana il Brent è tornato a 80 dollari. E così le grandi compagnie sembrano essersi scrollate di dosso il momento negativo e guardano il futuro con maggiore ottimismo. 

L’americana ExxonMobil ha toccato il suo massimo storico con una valutazione di oltre 500 miliardi di dollari. In Europa, dopo aver perso un quarto della loro capitalizzazione in soli sei mesi, la spagnola Repsol e la britannica BP hanno recuperato parte del perso nelle ultime settimane. E ancora l’anglo-olandese Shell, la francese TotalEnergies e la norvegese Equinor hanno cancellato tutte le perdite.

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Petrolio, è scomparsa la crisi dei prezzi?

Allora è scomparsa la crisi per i Big petroliferi? Le valutazioni elevate delle borse sono svanite ma la differenza tra quelle Usa ed europee è  rimasta grande. Negli ultimi vent'anni le big europee sono passate da uno sconto storico del 20% rispetto a quelle Usa con uno sconto del 40%, secondo Goldman Sachs. La stessa Goldman sottolinea che “Preferiamo le opzioni più difensive, con conti economici solidi, minore sensibilità ai prezzi del petrolio e soglie di redditività basse”. Tra queste “virtuose” Shell ed Equinor. Infatti il futuro, nonostante le guerre, non sembra cosi roseo per le Big del petrolio.

La Cina non ha bisogno di molto più petrolio e l’Agenzia Internazionale dell'Energia prevede un'eccedenza di greggio nel 2030. Fino all'attacco iraniano e in attesa della risposta di Israele, Goldman Sachs prevedeva addirittura 60 dollari al barile nel 2025 in tre scenari: consumi cinesi ancora deboli, Donald Trump da nuovo presidente potrebbe imporre una tariffa universale del 10% su tutte le importazioni statunitensi (che ridurrebbe la domanda globale di energia) e l'OPEC decida di invertire gli attuali tagli di circa 2,2 milioni di barili al giorno. Tutti questi scenari sono plausibili indipendentemente da ciò che potrebbe succedere in Medio Oriente. L'opzione, sempre più probabile, è che l'Arabia Saudita e i suoi alleati dell'OPEC mettano fine ai tagli all'offerta.

Petrolio, sulle montagne russe mentre il gas cresce di prezzo

La nuova politica di Riyadh, messa in atto per spingere fuori dal mercato i produttori con costi di estrazione più elevati (i giganti Usa del fracking), porterebbe a un ulteriore ribasso sui prezzi. Senza dimenticare che le aziende occidentali del settore, con costi di estrazione relativamente alti rispetto ai petrostati del Golfo Persico troverebbero maggiore difficoltà. A fronte degli alti e bassi del greggio, il gas è rimasto stabile.

Le riserve europee per l'inverno ci sono anche se il prezzo è ora più alto del 30% rispetto all'inizio dell'anno. Le previsioni sono ribassiste per  i prossimi dieci anni. Tutto questo confermato anche da Goldman Sachs. “Pensiamo a un ciclo discendente nei mercati globali del gas che probabilmente si estenderà fino alla seconda metà di questo decennio”. Ma in ogni caso anche le più attente previsioni dipendono da quello che succederà nei prossimi giorni nel Medio oriente. Tutti gli occhi sono puntati sui cieli dell'Iran.