Economia

Petrolio, sale il prezzo dopo l’attacco iraniano ad Israele

di Daniele Rosa

Un futuro pieno di rischi per i consumatori occidentali. Lo scenario

Petrolio, il prezzo del barile aumenta dopo l'attacco iraniano a Israele

Mai come in questo periodo storico l’economia si dimostra fluida e spesso le previsioni sui trend si muovono come il vento, in maniera instabile. Soltanto un mese fa il prezzo del petrolio, il Brent di riferimento europeo, stava calando e la tendenza sembrava essere al ribasso: 70 dollari al barile, un prezzo che non si vedeva dal 2021.

Ebbene tutto è rapidamente cambiato una settimana fa con l'attacco a Israele da parte dell'Iran. Il paese è il settimo produttore e terzo detentore delle riserve mondiali. Un contrattacco israeliano, magari proprio contro le installazioni petrolifere, ha creato preoccupazione e tensione sui mercati. “La situazione del mercato petrolifero è rischiosa e potrebbe diventare ancora più rischiosa” ha sottolineato il direttore generale dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), Fatih Birol.

Petrolio, due i rischi maggiori nel breve periodo

Molti osservatori vedono due pericoli nel breve termine. Il primo è l’aggravarsi della guerra. Se questo dovesse succedere si potrebbe vedere il coinvolgimento di altri paesi produttori, in una zona chiave del mondo per l’oro nero. E’ preoccupante notare come cinque dei 10 maggiori produttori di petrolio al mondo (Arabia Saudita, Iraq, Iran, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) siano proprio lì in Medio Oriente. Senza dimenticare altri tre del calibro di Iran, Qatar e Arabia Saudita. 

Il secondo rischio è che il conflitto possa interessare lo stretto di Hormuz, unico collegamento tra Golfo Persico e dell'Oman. Teheran controlla un barile di greggio su cinque in transito ogni giorno verso il mondo. Se lo Stretto fosse temporaneamente chiuso sarebbe difficile quantificare l'impatto ma sicuramente sarebbe impattante sui prezzi del greggio. Diversi analisti confermano che un attacco aereo israeliano alle infrastrutture petrolifere iraniane darebbe un’ulteriore spinta alla volatilità.

Petrolio, crescerà il prezzo ma non ai livelli del 2022

In meno di una settimana, un barile di Brent, è passato da appena 70 a quasi 80 dollari. Mai come i 130 dollari del 2022 con la crisi provocata dalla guerra tra Russia e Ucraina. Fortunatamente però adesso la struttura del mercato petrolifero si è modificata con una quantità sempre più consistente di petrolio che proviene da Stati Uniti, Canada, Brasile e Guyana. Se questi paesi dovessero aumentare la produzione la domanda internazionale sarebbe soddisfatta.

Ed ecco perchè se chiudesse Hormuz non dovrebbe succedere un cataclisma come quello provocato dall’invasione russa in Ucraina. Difficile secondo molti che il barile raggiunga o superi i 100 dollari al barile e questo, nel vortice di notizie negative, potrebbe essere un buon punto fermo per dimenticare il pessimismo più nero. In ogni caso Donald Trump, che non manca di sintesi e visione economica (soprattutto verso gli interessi americani) suggerisce a Israele un attacco ai siti nucleari e non a quelli petroliferi. Non si sa mai.