Pil,l'economia italiana si ferma nel secondo trimestre del 2016: crescita zero
Secondo l'Istat, nel secondo trimestre dell'anno il Pil è rimasto invariato. Sul 2015 la crescita è stata dello 0,7%. +0,6% quella acquisita nel 2016
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Non ci voleva per Matteo Renzi a pochi mesi dalla dura prova del referendum e che aveva fatto proprio dell'accelerazione uno dei tratti distintitvi (rispetto al troppo paludato governo Letta) della sua azione di governo. E invece, dopo tante slide, bracci di ferro con i gufi e l'eterno dibattito sull'efficacia del Jobs act sul mercato del lavoro, l'elettroencefalogramma dell'economia italiana torna piatto. Niente accelerazione: non solo crescita da prefisso telefonico come amava dire l'ex presidente della Confindustria Giorgio Squinzi, ora non c'è segno di vitalità.
L'Istat, infatti, ha appena comunicato (stima preliminare) che nel secondo trimestre dell'anno il prodotto interno lordo italiano, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente (+0,2% il consensus) ed è aumentato dello 0,7% nei confronti del secondo trimestre del 2015. E dire che i tre secondi mesi dell'anno hanno avuto una giornata lavorativa in più del trimestre precedente.
Una frenata, quella fra aprile e giugno in scia alla deludente produzione industriale, di appena 0,1-0,2% nel secondo trimestre, che oltre a rovinare i piani di Palazzo Chigi che confidava proprio nella ripresa economica per reperire risorse fresche per riaprire nella manovra il cantiere delle pensioni e rilanciare gli investimenti, complica anche il cammino della flessibilità richiesta dal governo all'Unione europea.
La variazione congiunturale del Pil, ha spiegato l'Istat, è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell'agricoltura e dei servizi e di una diminuzione in quello dell'industria. Dal lato della domanda, vi è un lieve contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), compensato da un apporto positivo della componente estera netta.
Nello stesso periodo, ha ricordato l'Istat, il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% nel Regno Unito, dello 0,3% negli Stati Uniti, dello 0,4% in Germania, mentre ha segnato una variazione nulla in Francia. In termini tendenziali, invece, si è registrato un aumento del 2,2% nel Regno Unito, dell'1,4% in Francia, del 3,1% in Germania e dell'1,2% negli Stati Uniti. Nel complesso, secondo la stima diffusa il 29 luglio scorso, il Pil dei paesi dell'area Euro è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell'1,6% nel confronto con lo stesso trimestre del 2015.
Ora, il Governo si prepara a rimettere mano ai numeri del Documento di economia e finanza. Si fa sempre più concreto quindi il rischio che la coppia Renzi-Padoan debba rivedere al ribasso l'1,2% scritto nel Def e procedere con la nota di Aggiornamento da presentare a fine settembre ad un più realistico (almeno secondo l'Fmi) 0,8%. Situazione che aggraverebbe il livello di deficit previsto che, pur restando sotto il 3%, salirebbe oltre il 2,3% concordato in sede europea e il target del debito/Pil in calo al 132,4% per la prima volta dopo 8 anni (visto che a giugno la Banca d'Italia ha registrato un nuovo record del debito pubblico a 2448,8 miliardi di euro), complicando il cammino per la stesura della prossima legge di Stabilità, il cui piatto forte dovrebbe essere l'intervento sulle pensioni: dalla flessibilità in uscita all'aumento delle minime.
La cifra disponibile, circolate in queste ore ma poi smentite dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, è di 1,5 miliardi. Ma i sindacati insistono che ne servono almeno 2,5. Ma soprattutto: niente prestito per anticipare la pensione (la cosiddetta Ape col prestito ventennale garantito da banche e assicurazioni che costerebbe comunque alle casse pubbliche 600-700 milioni).
L'esecutivo cerca quindi di valutare alternative tecniche e recuperare nuove risorse rispetto a quelle già in cassa. Poi, però, bisognerà scegliere. A completare il quadro delle misure, quelle obbligate sono le note clausole di salvaguardia (che scompaiono nella riforma della legge di contabilità): 15 miliardi che peserebbero sull'Iva, copribili solo in parte facendo ricorso alla maggiore flessibilità concessa di Bruxelles.
Si conferma poi l'intervento sull'Ires per le aziende (dopo la Brexit si guarda all'abbassamento delle tasse sulle imprese come occasione per attirare investimenti dall'estero) e si punta a rivedere anche l'Irap (19 miliardi di gettito) rendendola piu' selettiva per favorire l'innovazione. Risorse fresche, oltre a quelle date dall'elasticità del deficit, arriverebbero da una nuova edizione della voluntary disclosure (1-2 miliardi circa) che nelle intenzioni del premier verrebbero impiegati per dare una mano a ''ceti medi e famiglie''.