Economia

Rapporto sulla sicurezza. Il lavoro secondo Unipol, da precario a flessibile

XI Rapporto Osservatorio Europeo sulla Sicurezza: in aumento incertezza economica e domanda di protezione. Da Unipol una risposta sistemica e concertata

Al primo posto, tra le paure degli italiani, l’incertezza globale; al secondo l’incertezza economica; al terzo la criminalità. Tra le principali evidenze del Rapporto, l’importante frattura nord-sud Europa sul mercato del lavoro e quella fra contratti continuativi e precari. In aumento la domanda di protezione.

C’è una linea Nord-Sud che attraversa il mercato del lavoro europeo e vede i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo esibire, nelle risposte dei propri cittadini, un quadro più grigio per quanto riguarda lo scenario economico e occupazionale. Ma c’è anche una linea, tutta interna al mercato del lavoro, che separa le posizioni stabili da quelle atipiche, a tempo determinato, vissute e definite dai lavoratori in maniera diversa (precarie oppure flessibili) a seconda delle coordinate geografiche. Sono queste alcune delle indicazioni che emergono dall’XI Rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, realizzato da Demos&Pi e Fondazione Unipolis per indagare il tema della percezione sociale della sicurezza.

I risultati del rapporto sono stati presentati nel corso di un evento, svoltosi oggi a Milano presso l’Auditorium dell’Acquario Civico, che ha visto gli interventi di: Pierfrancesco Majorino, assessore Politiche sociali, Salute e Diritti Comune di Milano, Pierluigi Stefanini, presidente Gruppo Unipol e Fondazione Unipolis, Luca Bernareggi, presidente CRU Lombardia, Marisa Parmigiani, direttrice Fondazione Unipolis, Fabio Bordignon, responsabile ricerca Demos&Pi, Ilvo Diamanti, docente Università di Urbino e direttore scientifico di Demos&Pi, Angelo Colombini, segretario confederale CISL, Alessandro Rosina, docente Università Cattolica di Milano e Francesco Seghezzi, direttore Fondazione ADAPT.

“Ciò che emerge dall’indagine”, ha fatto sapere Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol e Fondazione Unipolis, “è che aumenta la domanda di protezione da parte dei cittadini. La differenza tra sud e nord Europa deriva da una difficoltà dell’intervento pubblico nel costruire risposte combinate e condivise con il privato. Le risposte sono sempre più centralizzate e sempre meno in sintonia con il contesto specifico dal quale proviene la domanda di sicurezza”. “Dobbiamo passare dalla contrapposizione pubblico-privato”, ha continuato Stefanini, “alla combinazione tra le due forze, per creare un mercato del lavoro flessibile e non precario. Per ridurre la paura è altresì necessario ridare credibilità alle istituzioni sovranazionali, soprattutto sul tema della redistribuzione della ricchezza, per costruire una strategia a lungo termine”.

La proposta che Stefanini di Unipol condivide ai microfoni di Affaritaliani.it è dunque, in una parola, concertazione: “Stiamo ragionando insieme a enti pubblici e privati, forze sindacali e datoriali, per costruire una risposta che sia più efficace di quella attuale. Innanzitutto per dare futuro ai giovani, per individuare politiche di sviluppo in grado di offrire lavoro, per ripensare le tutele sociali, per ridurre la precarietà, dare maggiore flessibilità gestita e per gestire al meglio l’impatto delle tecnologie. È una risposta che merita di essere articolata e sistemica”.

VIDEO - Stefanini, Unipol: "Serve riposta sistemica al bisogno di protezione"

Osservatorio Europeo sulla Sicurezza: la percezione dei cittadini italiani

In Italia l’insicurezza globale, definita da questioni quali “ambiente e natura”, “sicurezza alimentare”, “guerre” e “globalizzazione”, rappresenta la principale paura (75%). Al secondo posto troviamo l’incertezza economica che inquieta ben oltre metà dei cittadini (62%). Infine, la criminalità – soprattutto “organizzata” – che preoccupa il 38. L’insicurezza assoluta (26%) però, che somma le tre principali insicurezze, si attenua di tre punti rispetto al 2017, una contrazione lieve, ma significativa perché va a confermare un trend già emerso negli anni precedenti e fa registrare il valore più basso dopo il picco del 2012.

Dati interessanti emergono indagando il tema dell’insicurezza economica, con il 62% degli italiani che affermano di sentirsi frequentemente preoccupati di perdere la solidità e, in particolare, hanno paura di non avere o perdere la pensione (37%), di non avere abbastanza soldi per vivere (36%) e di perdere il lavoro (34%). Se si prende in considerazione il profilo professionale, il sentimento di preoccupazione tocca i massimi livelli tra gli operai e le casalinghe (81%), oltre ai disoccupati (76%). In questo scenario, è interessante analizzare la percezione della propria collocazione di classe degli italiani: il sentirsi parte del ceto medio non è certo tornato ai valori pre-crisi (60%), ma nel 2019 ha recuperato al 50%. L’economia è il tema che il 41% degli italiani colloca in cima alla lista delle priorità, seguita dall’inefficienza e dalla corruzione politica (22%), quindi dall’immigrazione (11%).

Osservatorio Europeo sulla Sicurezza: i cittadini europei e il lavoro

Per la prima volta nell’ambito del Rapporto sulla Sicurezza è stata realizzata un’inchiesta campionaria in sei Paesi europei dedicata al tema del lavoro. Da una lettura dei dati emerge una frattura Nord-Sud, con i Paesi mediterranei, Italia e Francia, insieme all’Ungheria, caratterizzati da indici di insicurezza maggiori rispetto agli altri. Francia e Italia sono accomunate, inoltre, dalla percezione di un trend negativo, negli ultimi cinque anni, su specifici aspetti che caratterizzano il mondo del lavoro: i giudizi più critici riguardano le opportunità di lavoro, il guadagno medio, la meritocrazia nelle carriere e l’occupazione giovanile. Comune a tutti i Paesi è una visione negativa sul futuro dei giovani. In particolare, in Italia in pochissimi (7%) se la sentono di scommettere sulla ripartenza dell’ascensore sociale-generazionale.

La rilevazione mette poi in risalto un’altra frattura interna al mercato del lavoro legata al modo in cui gli intervistati descrivono la propria condizione: le posizioni “garantite” – quelle coincidenti con un lavoro stabile (o percepito come tale) – e le altre forme più intermittenti, atipiche di occupazione. Tra chi non si percepisce stabile c’è però un’ulteriore linea di divisione tra chi descrive il proprio lavoro come flessibile e chi invece lo vede come temporaneo/precario. I primi vivono la propria condizione con minore apprensione e ritengono di disporre di strumenti adeguati. 

Ad Affaritaliani.it Fabio Bordignon, Responsabile della ricerca, ha commentato: “Quest’anno ci siamo soffermati su un tema che è quello della sicurezza economica e, in particolare, del lavoro. A tal proposito, emergono due fratture. La prima è di tipo geografico e divide i Paesi mediterranei da quelli dell’Europa centrale e del Nord con un’Italia e una Francia che mostrano un giudizio molto più negativo e un livello di apprensione maggiore sulle opportunità di lavoro. La seconda è una frattura che si consuma all’interno del mercato del lavoro e divide le posizioni garantite, cioè quelle che si associano a contratti di lavoro stabili, e quelle a carattere intermittente. In merito a questo punto gli italiani si dividono fra coloro che considerano la flessibilità un’opportunità, che apre le porte all’imprenditorialità, e coloro che la subiscono percependola come precarietà. Tra questi ultimi emerge una forte domanda di protezione sociale”.

VIDEO - Bordignon, Demos&Pi: "Flessibili o precari, cresce la domanda di protezione"

In quattro Paesi su sei, con l’eccezione di Italia (49%) e Ungheria (44%), la maggioranza assoluta del campione sembra sposare il principio della flexsecurity: ritiene, cioè, che la flessibilità possa costituire una opportunità per i lavoratori e le imprese, ma che debba essere associata a maggiori diritti e misure di protezione. Coloro che si definiscono flessibili toccano il massimo livello in Germania (29%) e Ungheria (28%), mentre si fermano al 13% in Italia, dove prevale il secondo gruppo di lavoratori atipici, temporanei o precari, ad eccezione che per i giovani in linea con i dati europei.

Sono il 27% in Italia coloro che ritengono la propria preparazione all’altezza del mercato del lavoro. Tra questi sono in misura superiore alla media gli uomini, nelle fasce di età inferiore ai 45 anni e tra le persone con titolo di studio universitario, spesso impiegati in posizioni intellettuali.

Osservatorio Europeo sulla Sicurezza: dalla precarietà alla flessibilità gestita

Presente al panel, Alessandro Rosina, Docente Università Cattolica, ha spiegato le ragioni per le quali oggi vince l’idea di precarietà su quella di flessibilità: “Si percepisce come precario un contesto che non si riesce a leggere perché non se ne hanno gli strumenti. Ciò che manca oggi è la capacità di immaginare positivamente il futuro”. D’accordo si è detto Francesco Seghezzi, direttore Fondazione ADAPT: “I flessibili concettualmente non esistono perché non sono riconosciuti, nelle narrazioni fatte fin qui, come alternativa ai continuativi. È una narrazione polarizzata quella che hanno portato avanti sindacati e imprese in questi anni. Una narrazione che non tiene conto della necessità di politiche di riqualificazione e re-immissione nel mercato del lavoro (formazione, outplacement)”. Seghezzi ha parlato di confusione tutta italiana tra politiche attive e misure di lotta alla povertà: “Negli altri Paesi europei questi ambiti sono tenuti distinti. Il reddito di cittadinanza, mettendoli insieme, rischia di aggiungere complessità e di non risolvere né il problema della povertà né quello del lavoro. Inoltre dà per scontato che l’ingresso nel lavoro significhi uscita dalla povertà, cosa che era vera molto tempo fa ma che non lo è più nel mercato del lavoro attuale”.

Sul reddito di cittadinanza, Stefanini ha commentato: “Una misura importante quella che orienta risorse economiche verso le persone più povere, ma sarebbe stato preferibile estendere il reddito di inclusione già avviato dal Governo Gentiloni”. Oltre a ciò, “sarebbe stato più opportuno procedere a una riorganizzazione della struttura dei centri per l’impiego, per non parlare di regolare il rapporto scuola-lavoro e di gestire la rivoluzione che ha comportato Industria 4.0. C’erano tante questioni che andavano risolte a monte e tanto tempo fa. Abbiamo accumulato un ritardo che il reddito di cittadinanza non risolve. Il problema non è dunque quanti soldi ha lo stato, ma come lo stato promuove politiche di incentivo al lavoro”.

Alla discussione sulla domanda di protezione ha partecipato, in qualità di rappresentante delle istituzioni, anche Pierfrancesco Majorino, assessore Politiche sociali, Salute e Diritti Comune di Milano: “Si è investito erroneamente su una versione tutta positiva degli effetti della globalizzazione. La capacità di immaginarsi nel futuro è ardua per i giovani e li inchioda nel presente. Errore è stato non innovare il sistema degli ammortizzatori sociali affinché si adeguasse a un mercato del lavoro più complesso che in passato. Così come non aver adeguato il welfare e il sistema educativo. La sfida della politica si giocherà proprio sul tema della protezione, non come sommatoria di misure che implicano spesa pubblica, ma anche come narrazione speranzosa sul futuro. Qui un ruolo importante lo hanno il sistema formativo e le imprese”.

Per finire, dal mondo sindacale arriva l’appello di Angelo Colombini, segretario confederale CISL, che ha chiesto “più sicurezze per il mercato del lavoro”. Come? “Grazie a un non più rimandabile ammodernamento delle politiche attive che permettano di passare dalla percezione della precarietà a quella della flessibilità come opportunità”. Condizione che Ilvo Diamanti, docente Università di Urbino e direttore scientifico di Demos&Pi, riconosce come “sicura” perché “sine cura, cioè senza preoccupazioni, dove non vinca lo spettacolo della paura, quella vera e quella propagandata”: