Rcs: meno costi, interessi e rimborsi. L'assist di Intesa alla cura Cairo
L'editore alessandrino mette a segno un eccellente turnover nel gruppo del CorSera e della Gazzetta. Ora il mercato lo attende alla sfida dello sviluppo
Nonostante mercato “non brillantissimo”, la cura di Urbano Cairo a un anno dal suo debutto sul ponte di comando di Rcs Mediagroup, che a Piazza Affari torna a oscillare sugli 1,3 euro per azione (+75% rispetto a 12 mesi fa) funziona, con un semestre chiuso in utile di 24 milioni, un risultato positivo a cui il mercato non era più abituato da nove anni, a fronte di un Ebitda di circa 140 milioni e di flussi di cassa positivi. Numeri incoraggianti e che dovrebbero consentire a Cairo di centrare l’obiettivo di un utile netto di 40-45 milioni a fine anno, rimarcando così il “turnaround” in corso. Ma dove è riuscito a fare la differenza l’imprenditore alessandrino rispetto alle passate gestioni di Via Solferino?
La benedizione di Nagel/ Mediobanca valuterà "in funzione dello sviluppo delle prospettive" se vendere o meno la partecipazione del 6% che detiene nel capitale di Rcs. E' quanto ha dichiarato il Ceo Alberto Nagel nel corso di una conference call di commento ai risultati dell'esercizio chiuso al 30 giugno scorso. "Le interlocuzioni avute con Urbano Cairo ci fanno pensare che il gruppo editoriale - grazie al suo intervento - abbia ora migliori prospettive e possa pertanto rivalutarsi" ulteriormente. A Piazza Affari, questa mattina Rcs scambia a 1,284 euro/azione (+0,39%), a livelli cioe' agli 1,2 euro che rappresentano il valore di carico per Mediobanca. Sulla quota nell'ex Rizzoli, ha concluso Nagel, "abbiamo un atteggiamento flessibile per dimensioni e ammontare" dell'investimento. "Ora il nostro atteggiamento e' piu' orientato a comprendere l'atteggiamento della societa' e il nostro prezzo target di vendita puo' essere rivisto al rialzo". |
A leggere la semestrale si direbbe rinunciando a una parte di ricavi e tagliando con decisione costi e oneri finanziari: i primi sono infatti calati su base annua del 6,4%, passando dai 504,1 milioni di ricavi dei primi sei mesi dello scorso anno, quando Cairo era solo uno dei tanti soci dell’editore del Corriere della Sera, con un 4,6% che solo a metà luglio sarebbe salito al 48,8% (contro il 37,7% raccolto, inutilmente, dagli amici del “salotto buono” di Mediobanca), a 471,7 milioni principalmente per la cessazione di alcuni contratti di raccolta pubblicitaria per conto di editori terzi.
I secondi sono calati di circa 32 milioni, di cui 19 milioni in Italia e 12,8 milioni in Spagna, consentendo all’Ebitda di raddoppiare passando da 33,9 a 69 milioni e all’Ebitda margin di passare dal 6,7% al 14,6%, con un miglioramento di 7,9 punti percentuali. Non si è trattato di un risultato semplice da conseguire, perché a perimetro omogeneo (ossia non tenendo conto delle attività cessate) il calo dei ricavi è stato anche più marcato: -10% i ricavi pubblicitari (a 212,5 milioni), -11% quelli editoriali (a 172,8 milioni), a conferma che in un mercato moribondo come quello della carta stampata neppure Cairo ha la bacchetta magica. A giovare al risultato finale sono anche minori ammortamenti (in calo del 9% annuo a 25 milioni), che hanno consentito all’Ebit di balzare a 44,4 milioni, dai soli 6,3 milioni di fine giugno 2016 (con un incremento di quasi il 605%). Sul fronte patrimoniale, infine, l’indebitamento finanziario netto si riduce a 363,2 milioni, dai 366,1 milioni di fine 2016 (-0,8%) e contro i -486,7 milioni del 31 dicembre 2015 (-25,3%), in particolare grazie ai flussi di cassa generati dalla gestione corrente (24 milioni).
Al riguardo l’accordo raggiunto a inizio luglio con Intesa Sanpaolo (già a fianco di Cairo nella vittoriosa battaglia per rilevare il controllo del gruppo editoriale nell’estate scorsa), relativo al rifinanziamento totale del debito potrà portare ulteriori benefici nel corso del secondo semestre e negli anni a venire. Il nuovo accordo prevede una linea di credito “term amortising” per 232 milioni e una linea “revolving” di 100 milioni, con un tasso di interesse annuo, più favorevole di quello precedente, pari alla somma dell’Euribor di riferimento e un margine variabile a seconda del “Leverage Ratio” (Posizione finanziaria netta/Ebitda).
L’accordo prevede inoltre un unico covenant (ossia un impegno preso da Rcs nei confronti dei suoi creditori) rappresentato dal “Leverage Ratio”, che non dovrà essere superiore a 3,45 volte al 31 dicembre 2017, a 3,25 volte al 31 dicembre 2018, e a 3 volte al 31 dicembre di ciascun anno successivo, mentre il patto sottoscritto con un pool di banche (oltre a Intesa Sanpaolo ne facevano parte anche Ubi Banca, Unicredit, Bpm, Bnl e Mediobanca) nel giugno 2013 e poi rinnovato il 16 giugno dello scorso anno prevedeva covenant anche sul patrimonio netto e sul debito complessivo.
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