Snaidero, made in Italy oberato dal debito. La vendita e l'uscita di UniCredit
Il controllo di Snaidero sta per passare di mano, corsa a quattro tra Pillarstone, IDeA Capital e due soggetti cinesi. Sindacati in preallarme
Un altro grande marchio del made in Italy sta per fare le valigie. Edi Snaidero è pronto a passare la mano: il presidente dell’omonimo gruppo costruttore di cucine ha infatti dato mandato a Kpmg Corporate Finance di curare il processo di selezione che, salvo imprevisti, determinerà il partner finanziario (si parla di due fondi di private equity, Pillarstone, la piattaforma creata da KKR con John Davison, e DeA Corporate Credit Recovery 1, fondo che fa capo a IDeA Capital Funds Sgr del gruppo De Agostini, e di due gruppi cinesi, uno dei quali sarebbe attivo nel settore immobiliare) che rileverà la quota di controllo del celebre marchio friulano. Brand finito in crisi, come molti, dopo l’esplodere della crisi finanziaria del 2008 prima e di quella credito nel 2010-2011 poi.
Oberata da 114 milioni di debiti, con 100 milioni in meno di fatturato nel giro di cinque anni e un rosso cumulato di 40 milioni tra il 2010 e il 2012, il gruppo di Majano del Fruli nel 2013 ha dovuto avviare un processo di ristrutturazione nel 2015 che ha portato alla cessione dell’intera partecipazione del 70% di Fdb (la divisione di distribuzione di cucine in franchising cui facevano parte i marchi Ixina, Cuisines Plus e Cuisines References) al gruppo industriale tedesco Nobilia (che nel 2009 aveva comprato per 20 milioni un primo 30%).
Col ricavato della cessione di Fdb si è dimezzato il debito nei confronti di Intesa Sanpaolo, Mps, Bnl, Banco Popolare e Unicredit, nel frattempo riscadenziato sino al 2020, ma il giro d’affari del gruppo Snaidero (proprietario anche dei marchi Arthur Bonnet, e Comerà Cuisines in Francia, Rational in Germania e Regina in Austria) è a sua volta calato di una cinquantina di milioni da 180 a 126,6 milioni di euro a fine 2016. Non per questo Snaidero ha rinunciato a lanciare un piano di sviluppo da oltre 10 milioni di euro che ha portato tra l’altro all’apertura di nuovi showroom in Italia e all’estero (ad oggi sono 450 i punti vendita Snaidero in 86 paesi, con lo sbarco da ultimo anche in Madagascar, Sudafrica, Kenya, India e Algeria).
Un rilancio reso possibile sia dai due anni di pre-ammortamento concessi dalle banche, periodo in cui non sono state registrate rate di rimborso, sia dall’ingresso nel capitale di Unicredit. Eppure, nonostante i segnali di ripresa dell’attività visti nel 2016, 50 milioni di debiti da rimborsare in tre anni sono stati considerati un fardello ancora troppo pesante per i soci, che hanno dunque avviato la ricerca di nuovi partner, con Edi Snaidero (nel 2007 indicato come possibile candidato alla presidenza della regione Friuli per il Centrodestra) destinato a rimanere con una quota di minoranza e Unicredit che verosimilmente approfitterà dell’occasione per uscire dal capitale. Entro fine mese si dovrebbe arrivare alle offerte definitive e il passaggio del controllo entro fine estate.
I più motivati sembrerebbero proprio i cinesi e non c’è da stupirsi, visto che proprio dalla Cina sono venuti, lo scorso anno, i segnali più confortanti in termini di crescita dell’export italiano per il comparto settore arredo-legno. Ma la Cina è anche il principale concorrente di molte aziende del settore, così sindacati di categoria Feneal Filca Fillea, preoccupati per il possibile arrivo di partner cinesi, hanno già chiesto all’azienda un confronto prima della cessione, per non essere messi di fronte al fatto compiuto.
“La nostra principale preoccupazione - hanno spiegato i sindacati in una nota - è che si prendano decisioni affrettate, senza il coinvolgimento dei soggetti interessati e senza prevedere alcun piano industriale per il futuro”. Per questo Feneal Filca Fillea fanno appello “al senso di responsabilità dell’azienda” e sperano nell’intervento di istituzioni locali e nazionali “per evitare ridimensionamenti che avrebbero come conseguenza un ulteriore peggioramento dell’economia nazionale” come conseguenza “di una speculazione finanziaria che inevitabilmente inciderebbe sui livelli occupazionali della società”.
Tra poche settimane si saprà se l’ingresso dei nuovi soci servirà a rilanciare il progetto di una Snaidero sempre più internazionale ma in crescita (anche in Italia), o se la cessione a mani straniere avrà un impatto pesantemente negativo per i dipendenti friulani.
Luca Spoldi
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In riferimento al pezzo pubblicato lo scorso 11 agosto intitolato "Snaidero, made in Italy operato dal debito, la vendita e l'uscita di Unicredit", desidero rettificare l'erronea attribuzione a Edi Snaidero della carica di presidente di Federlegno, carica in realtà a suo tempo ricoperta da Roberto Snaidero, che dell'omonimo gruppo friulano non è e non è mai stato presidente, nè ha mai ricoperto cariche societarie, non risultando titolare di partecipazioni di maggioranza.
Come peraltro indicato fin dall'incipit dell'articolo, infatti, "il presidente dell'omonimo gruppo costruttore di cucine" è appunto Edi Snaidero (di cui si parlò in passato come possibile candidato per la presidenza della regione Friuli Venezia Giulia per il Centrodestra), che del celebre marchio friulano controllato dalla famiglia Snaidero è anche amministratore delegato, impegnato da alcuni anni in un piano di ristrutturazione e rilancio delle proprie attività e che secondo indiscrezioni riprese largamente dalla stampa italiana e mai smentite sarebbe in cerca di un partner a cui cedere il controllo del gruppo, ricerca curata dall'advisor Kpmg Finance.
Mi scuso coi lettori e col dott. Roberto Snaidero ove il refuso possa aver generato una qualsiasi non intenzionale erronea interpretazione in merito al suo ruolo (assolutamente estraneo) nella vicenda aziendale di cui ho riferito sulla base, tra l'altro, di indiscrezioni non smentite ampiamente circolate sulla stampa italiana locale e nazionale e per la quale non posso che augurarmi giunga quanto prima un lieto fine.
Luca Spoldi