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Economia
Tim, i problemi del dossier Rete. Ecco la scommessa di Vivendi

L’integrazione della fibra di Telecom Italia (Tim) e Openfiber (Of) è solo questione di tempo. Che lo scenario vada sempre più nella direzione di un’aggregazione tra le reti dei due gruppi è assodato, non fosse altro per il fatto che Enel (socia al 50% di Of, l’altro 50% essendo in mano a Cassa depositi e prestiti, che è anche socia di Tim al 5,03%), Tim e Cassa depositi e prestiti hanno sottoscritto un accordo di confidenzialità proprio al fine di avviare il confronto per valutare possibili forme di integrazione delle reti in fibra ottica dei due gruppi, “anche attraverso operazioni societarie”.

LE PROSSIME TAPPE OPERATIVE/ Già la prossima settimana potrebbe esserci maggiore chiarezza sui contorni dell'operazione: è infatti in programma giovedì 27 un cda di TIM in cui è attesa una illustrazione da parte dell'ad Luigi Gubitosi dello stato di avanzamento delle operazioni straordinarie (quella che riguarda Open Fiber ma anche la società delle torri con Vodafone). Appuntamento che sarà preceduto da un comitato strategico che dovrebbe aver luogo già lunedì 24. Tuttavia è il board in programma giovedì 1 agosto, con all'ordine del giorno la semestrale, quello da cui potrebbe arrivare un segnale concreto sui lavori in corso. Dopo il tavolo tecnico avviato già da tempo con Open Fiber è infatti dal confronto tra TIM e i due azionisti della società nata per cablare le aree a fallimento di mercato quello da cui dovrebbe arrivare una accelerazione. 

Per citare gli analisti di Banca Imi, “le stelle sembra si stiano allineando e questo rappresenta una buona notizia dopo anni di battaglie e paralisi” in seno a Tim, che secondo le ultime voci starebbe anche per assistere ad un armistizio sulla governance tra i suoi bellicosi soci (il fondo Elliott Management da una parte, il gruppo francese Vivendi dall’altra). Tuttavia il permanere di una serie di nodi crea incertezza sui tempi necessari a varare il “gestore unico” della rete in fibra italiana e dunque rende difficile valutare la effettiva creazione di valore per gli azionisti (e le implicazioni di prezzo sui titoli coinvolti).

Prendendo come conferma dell’ormai superata ostilità all’idea di arrivare a uno scorporo della rete da parte di Vivendi la disponibilità del gruppo francese a trovare un accordo con Elliott (che invece è sempre stato a favore dello scorporo), il primo scoglio da superare è definire il perimetro delle attività da conferire ad una Netcom. Tim conferirà solo la propria fibra, anche la rete in rame o anche quella per il wi-fi? E la rete di trasmissione dati di Sparkle che fine farà?

Nel comunicato si cita solamente "l'integrazione delle reti in fibra ottica”, ma Tim vanta 30,3 milioni di connessioni in Italia, di cui 13 milioni a banda larga; 11,1 milioni sono le connessioni a rete fissa, di questi 7,5 milioni sono a banda larga (sia utenti consumer sia business). Definita di quale rete si tratterà, quante risorse umane attualmente in Tim (che ha oltre 50.300 dipendenti solo in Italia) verranno “girate” alla Netcom? Di cifre in questi mesi se ne sono sentite tante, tra i 18 e i 25 mila dipendenti. Ultimo ma non meno importante, quanto debito seguirà la rete e i dipendenti “ex Tim”? E cioè dei quasi 35 miliardi di indebitamento netto che faceva capo a Tim a fine marzo verranno girati alla Netcom?

Saranno 13 o 15, o una cifra ancora diversa? Perimetro degli asset da consolidare, numero di risorse e debito da girare sono elementi essenziali per valutare quanto varrà l’apporto di Tim alla Netcom, così come sarà importante intendersi sul valore di quanto apporterà Of (le ultime cifre parlavano di un enterprise value, ossia equity più debito, attorno ai 2,5 miliardi a fronte di circa un miliardo di euro di indebitamento netto).

Già questo balletto di numeri fa capire quanto articolate e complesse saranno le trattative che andranno a iniziare nelle prossime settimane. Ma sullo sfondo c’è un’ulteriore valutazione da fare. Vivendi nel bilancio 2018 ha svalutato di 1,066 miliardi di euro il valore della partecipazione in Tim, riducendone così il prezzo di carico a 80 centesimi. Anche così per andare anche solo a pari il titolo dovrebbe recuperare rispetto ai livelli correnti una trentina di centesimi, ossia un 60% che in miliardi di capitalizzazione significano 5,5-6 miliardi di euro. Cifra che dovrebbe emergere come valore per gli azionisti proprio dallo scorporo della rete in fibra.

Il che significa ipotizzare tra 18,5 miliardi e 21 miliardi di enterprise value per Tim che della Netcom verrebbe dunque a detenere (se Of venisse valutata 2,5 miliardi) attorno all’88%-89%, cifra che pare elevata rispetto alle ipotesi circolate finora.

Ma se Vivendi accettasse una valutazione più bassa delle due l’una: o dovrebbe procedere a ulteriori rettifiche della valutazione della partecipazione in Tim, o dovrebbe sperare che l’ipotesi di avere una società che si trasformerà in un “digital player” puro (con la partecipazione in Tim Brazil che resterebbe come un “gioiello della corona” pronta ad essere a sua volta valorizzata e a dar vita a un possibile dividendo straordinario) possa piacere agli investitori e far correre il titolo in borsa come ormai non accade da quasi un quindicennio (era il gennaio 2005 quando Tim toccava in borsa i 3,16 euro, mai più rivisti).

Tutto è possibile, tanto più che il mercato delle reti è sempre più affollato e competitivo e che lo “sconto holding” verrebbe a quel punto rimosso con possibili benefici sulle quotazioni. Il fatto che sia possibile non vuol dire che sia probabile né che sindacati e politica possano desiderare l’avveramento di un simile scenario, cosa che continua a creare incertezza circa l’effettiva esecuzione dei piani di scorporo della rete e trasformazione della “mission” di Tim, nonostante l’allineamento di stelle ricordato dagli analisti di Banca Imi e che oggi torna a scaldare (+3,45% il titolo a fine seduta) gli “animal spirit” degli investitori a Piazza Affari.

Luca Spoldi

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