Trump più debole ma WS non crolla. Corporate Usa in aiuto del tycoon
Ecco perché la grande correzione del Nyse non è arrivata nonostante la presidenza Trump ora appaia molto meno forte rispetto alle premesse
Chi aveva pensato che la batosta rimediata da Donald Trump sulla riforma sanitaria avrebbe potuto dare ai mercati finanziari e a Wall Street in particolare il pretesto per una rapida correzione dopo il rally seguito alle elezioni presidenziali Usa dello scorso novembre, ha dovuto ricredersi. L’economia americana, semplicemente, va troppo bene perché qualcuno voglia scendere dal treno in corsa, semmai si sono visti e probabilmente continueranno a vedersi piccoli aggiustamenti di portafoglio all’insegna di una certa rotazione tra titoli o, più moderatamente, tra settori. L’indice S&P500, in particolare, risale oggi sopra i 2.375 punti, appena una ventina di punti al di sotto del record storico di 2.395,96 toccato lo scorso 31 marzo.
Da inizio anno il rialzo resta superiore ai 6 punti percentuali, mentre l’indice viaggia su livelli di circa il 19% superiori a quelli di dodici mesi fa. Situazione persino migliore per l’indice Nasdaq, che dalla probabile maggiore cautela con cui Trump, che finora aveva manifestato uno scarso feeling nei confronti di Silicon Valley, dovrà procedere dopo lo “schiaffo” subito al Congresso sembra avere persino tratto beneficio, con l’indice sopra i 5.925 punti dopo un massimo infragiornaliero di 5.933,78 punti che rappresenta il nuovo record di ogni tempo.
Del resto, parlando con esponenti repubblicani, è evidente come il partito preferisca avere una Casa Bianca meno “esuberante” e più concentrata sui veri temi che stanno a cuore alla politica come ai mercati, a partire dalla riforma fiscale. Il resto, dai dazi doganali su una manciata di prodotti e servizi ai proclami in merito alla necessità di tagliare il costo di alcuni grandi progetti della difesa (cui comunque Trump vuole dare più spazio in bilancio, riducendo la spesa per l’ambiente), sono considerati poco più che operazioni di marketing politico che non incideranno significativamente sull’andamento di “Corporate America”, che anzi ha l’occasione per provare a dettare l’agenda a Trump.
Le attese, del resto, parlano di una ripresa in grado di mostrare qualche segnale di riaccelerazione, ma non così marcato da spaventare la Federal Reserve e indurla ad aumentare il ritmo dei suoi rialzi dei tassi ufficiali. Nella stagione delle trimestrali appena avviata ci si attende una crescita media dell’8%-10% degli utili su base annua, ma c’è chi ha già saputo fare meglio, come Monsanto, colosso dei servizi agricoli in procinto di fondersi con la tedesca Bayer, che nel secondo trimestre dell’esercizio fiscale 2017 (chiuso al 28 febbraio) ha segnato un utile netto di 1,37 miliardi di dollari, contro gli 1,06 miliardi dello stesso periodo di un anno fa.
Anche escludendo le voci non ricorrenti, l’utile rettificato per azione è risultato pari a 3,19 dollari, ampiamente sopra il consenso (pari a 2,79), a fronte di ricavi in crescita a 5,07 miliardi anche in questo caso oltre le previsioni medie di mercato (4,73 miliardi).
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