Economia

Una politica fiscale per rafforzare capacità di spesa e incremento dei consumi

Paolo Brambilla - Consilium Impresa e Famiglia

Intervista ad Alessia Potecchi, Presidente dell'Assemblea del Partito Democratico di Milano

La grande crisi dell’economia che ha caratterizzato l’ultimo decennio (2008-2016) si è arrestata. Ci sono dei timidi segnali di ripresa. Vanno colti. Sostenuti. Incrementati. L'Europa e l'Italia devono scegliere con decisione e coerenza la strada dello sviluppo. Il nodo fondamentale è quello fiscale. Matteo Renzi, rafforzato dall'esito delle primarie che hanno registrato una grande partecipazione, ma hanno dato anche un segnale netto nel risultato, intende accelerare le scelte economiche e sociali.

Le scadenze elettorali dopo la Francia investiranno anche l'Inghilterra, la Germania e l'Italia. Non si può rimanere con le mani in mano. I prezzi della politica di austerità sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione, sottoccupazione, precarizzazione, povertà, deindustrializzazione, arretratezza tecnologica. La politica fiscale deve essere intelligente. Deve rafforzare la capacità di spesa, deve incrementare i consumi. L'economia torna a girare se si sostiene la domanda. Più consumi significa più produzione. Più produzione vuol dire più lavoro, più occupazione.

 

 

LA POLITICA DI FRANKLIN DELANO ROOSEVELT

 

In questi mesi negli Stati Uniti è stata inaugurata a Poughkeepsie, cittadina natale di Franklin Delano Roosevelt, una mostra interessante sulla sua vita e sulla sua storia politica. La grande recessione del 1929 aveva messo in ginocchio l’economia mondiale. Il crollo delle borse aveva generato un vero e proprio disastro. Roosevelt sconfisse nel 1932 nelle elezioni presidenziali in USA Hoover che aveva praticato la strategia dell'austerità mitigata da modesti interventi assistenziali.

Chiediamo ad Alessia Potecchi, Presidente dell'Assemblea del Partito Democratico di Milano, se questo esempio potrebbe essere applicato anche alla politica fiscale italiana oggi

"Roosevelt vinse perché impose la scelta dello sviluppo. Aumentò il deficit per destinarlo a grandi opere infrastrutturali (ad esempio realizzò la TWA, la Tennessee Wal Authorithy). Favorì nello stesso tempo, con appropriate  misure fiscali e salariali, la capacità di spesa dei lavoratori e dei settori più deboli della società. L'operazione ebbe successo. È quello che si potrebbe e dovrebbe fare ora".

Quindi è vero che si potrebbero ridurre le tasse?

"In Europa e in Italia le tasse sono eccessive. Insopportabili. Incompatibili con la crescita. Occorre ridurle in maniera consistente a favore dei redditi medio bassi e delle famiglie. Meno tasse significa più consumo, più produzione, più lavoro. Meno tasse per le famiglie vuol dire favorire la crescita demografica. L'Italia e il paese maglia nera nella tassazione delle famiglie. Da noi sì perseguita chi fa figli. In Francia e in molti altri paesi dove esiste lo Splitting le donne lavorano e possono, se lo desiderano, fare i figli emettere su famiglia. L'indice demografico è in crescita in Francia  e negli altri Paesi. E, noi, invece, lo abbiamo visto precipitare sempre di più in basso".

 

AGIRE SULLE TASSE DIRETTE O SULLE INDIRETTE?

 

Ma qual'è la priorità, le tasse dirette o quelle indirette?

"L'intervento sull'Irpef è una priorità. Sarebbe un grosso errore aumentare l'Iva come auspicano Confindustria e Banca d'Italia. Aumentare l'Iva significa penalizzare i consumi, raffreddare la domanda, rimanere nella stagnazione. Sarebbe una scelta autolesionista. Inattuale è anche l'ipotesi di una "patrimoniale": è una scelta ideologica superata. Oggi occorre intervenire invece sulla politica finanziaria e su quella dei servizi sulle quali esiste una incapacità di controllo sulla volatilità dei profitti. Va, all'opposto, perseguita una politica di vantaggi fiscali a sostegno dell'innovazione, della ricerca, dell'occupazione qualificata. Occorre prima o poi, meglio prima, modificare l'Irap e il sistema delle addizionali che ha sin qui favorito diseguaglianze sociali ed economiche. L'Europa si deve convincere che l'aumento iniziale del deficit derivante da una forte, generale e modulata riduzione delle tasse verrebbe riassorbito dai maggiori introiti fiscali che deriverebbero dall'aumento della domanda".

Si è sempre parlato di lotta all'evasione: diventa meno importante ora?

"La politica fiscale non deve allentare l'azione di contrasto alla evasione. Occorre migliorare il rapporto tra cittadini e amministrazione finanziaria. Va semplificato il sistema e vanno rafforzati i meccanismi di conciliazione proseguendo sulla strada del 730 precompilato; della rottamazione delle cartelle di Equitalia e del contenzioso delle liti fiscali. La lotta all'evasione fiscale va concentrata intervenendo per una progressiva equiparazione in Europa dei regimi fiscali. Non è più accettabile che ci siano paradisi societari addirittura in 5 Stati europei (Olanda, Lussemburgo, Cipro, Irlanda ed Austria) tutelati dalle regole comunitarie. Non è accettabile che si affermi una paradossale competitività tra i sistemi fiscali. Una competitività  nociva per l'Italia: società, imprese, studi consociati professionali emigrano sottraendo sostanziosi imponibili  al nostro sistema fiscale. In questo scenario va sostenuta la proposta che è in corso di elaborazione nel partito democratico. Si tratta di  vedere come utilizzare meglio il patrimonio dello Stato, coordinandolo con quello delle regioni e dei comuni. Non è un'operazione semplice. Non esiste ancora un inventario aggiornato delle proprietà e delle partecipazioni pubbliche. È un peccato. Il ricco patrimonio in possesso dello Stato potrebbe essere meglio apprezzato con un'indubbia riduzione dell'entità del deficit pubblico".

Quali opportunità si potrebbero cogliere?

"Sì, ci sono delle opportunità da cogliere. La rivitalizzazione dei rapporti con i corpi intermedi (sindacati, imprese, associazioni, professioni, eccetera) ha permesso di rinnovare in importanti contratti di lavoro. C'è una disponibilità reciproca alla ripresa  di un dialogo costruttivo tra governo e forze economiche e sociali sui temi contrattuali, sul mercato del lavoro, sul sistema pensionistico, sull'Europa. È importante. I corpi intermedi sono nel sistema. Il confronto non è facile ma è necessario. Le forze antisistema presenti in Italia e in Europa puntano a delegittimare le forze economiche e sociali per amplificare sempre di più la protesta, il rancore, la contrapposizione, il qualunquismo. Non possiamo stare al loro gioco. Per sconfiggere il populismo la strada maestra è quella dello sviluppo, della coesione europea, del coinvolgimento di tutti. Occorrono, insomma,  idee, pensieri, progetti e riforme. Oggi è necessario giocare una partita all’attacco e non più soltanto in difesa.