Economia

Whirlpool, la chiusura? Già nel bilancio 2018. Il retroscena del grande bluff

Fabio Pavesi

L’esito del tavolo in realtà era già scritto. E questo avveniva mentre si firmava al ministero il nuovo accordo che avrebbe salvaguardato Napoli e l’Italia...

La vicenda di Whirlpool è stata fin dall’inizio una farsa ben costruita finita in tragedia con la decisione ultima di chiudere l’impianto di Napoli della multinazionale americana tra pochi giorni. Quasi una partita di poker preparata con cura in cui la multinazionale del freddo ha bleffato fin dall’inizio sulle sue reali intenzioni, trovando di fronte a sé un avversario (Il Governo, Di Maio e i tecnici del Mise) sembrato del tutto inadatto a giocare al tavolo. In tutta la vicenda c’è infatti un retroscena che nessuno ha colto, o meglio non ha visto e che se analizzato con cura avrebbe evitato la pantomima durata più di un anno. L’esito in realtà era già scritto. E questo avveniva mentre si firmava al ministero il nuovo accordo che avrebbe salvaguardato Napoli e l’Italia.

Whirlpool dal suo quartier generale nel Michigan aveva già deciso per un disimpegno. Era tutto scritto nero su bianco nel bilancio del 2018 del colosso da 20 miliardi di ricavi annui, 96mila dipendenti sparsi per il mondo. In quel documento contabile pubblico Whirlpool, che aveva appena siglato l’accordo sull’Italia che assicurava strategicità non solo per Napoli ma per tutti gli altri siti italiani, chiariva espressamente che avrebbe avviato forti azioni di recupero dei costi nell’area Emea (cioè l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa). L’unica area globale del gruppo in affanno con una redditività divenuta negativa già nel 2017.

Prometteva una forte ristrutturazione con oneri per 200 milioni di dollari e soprattutto preannunciava un taglio di costi fissi strutturali per almeno 50 milioni di dollari. Il tutto da chiudersi entro il 2019. Sembra una coincidenza, ma la chiusura definitiva di Napoli cade proprio a ridosso della fine piano. Certo, quei 50 milioni di dollari saranno sparsi in giro per l’intera regione. L’uscita dalla Turchia e il ridimensionamento in Sudafrica erano le architravi del piano. Ma si può seriamente pensare che l’accetta non sarebbe caduta anche sull’Italia e su Napoli in particolare?

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Se metti le mani avanti e dici che Napoli va riconvertita, allora a fronte di un piano di forte ristrutturazione per l’intera Regione, come si fa a pensare che l’impianto campano non sia nel mirino dei tagli? I manager d’Oltreoceano della multinazionale, quelli che decidono le strategie globali e che rispondono agli investitori che chiedono profitti trimestrali sempre più ghiotti, l’avevano messa giù dura. Nel bilancio dicevano che l’area Emea ha comportato svalutazioni di asset per la bellezza di 579 milioni di dollari. Tali da far tingere di rosso per la prima volta, nel 2018, l’intero bilancio del gruppo quotato a New York. Immaginatevi l’allarme rosso in cabina di regia.

Occorre intervenire al più presto, non puoi permetterti un altro anno, il 2019, in perdita per colpa di una sola delle aree mondiali in cui operi. Sempre nel documento contabile mettono nero su bianco che solo per oneri di ristrutturazione Whirpool Emea ha messo sul piatto 125 milioni di dollari nel 2018. Letta così suona quasi beffardo l’annuncio fatto a marzo del 2019 di riconfermare un nuovo piano industriale 2019-2021 per l’Italia in cui prometti 250 milioni di investimenti nell’arco dei 3 anni. Se solo ti pesano quei 125 milioni spesi per la campagna ristrutturazione come puoi essere credibile dicendo che investi di nuovo? Una partita a poker con le carte coperte fin dall’inizio vien da pensare.

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Con le nostre istituzioni, il ministro Di Maio in testa e i suoi tecnici del ministero, che sembra giocassero a quel tavolo a occhi chiusi. Prendendo ogni volta per buoni gli impegni sottoscritti dai vertici italiani del gruppo degli elettrodomestici. Resta alle cronache con un retrogusto semi-amaro l’annuncio sui social del 30 ottobre 2018 di un galvanizzato Di Maio che recita “Ce l’abbiamo fatta: accordo raggiunto con Whirlpool. Non licenzierà nessuno e anzi riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva spostato in Polonia. Nessuno perderà il posto di lavoro”.

Tutto avveniva mentre Whirlpool nel suo bilancio di quell’anno metteva in chiaro le intenzioni bellicose sulla sua area meno profittevole. Già, si dirà se le cose non vanno, se il mercato non risponde, se i costi superano i ricavi e cumuli perdite allora meglio chiudere, tagliare i rami secchi per evitare che contagino quelli buoni. E’ l’antica ricetta, da che mondo e mondo, del vecchio e caro capitalismo. Ma davvero quei 400 dipendenti e quella fabbrica nel lontano meridione d’Italia erano un rischio di contagio per un gruppo dalle gambe gracili?

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Forse interesserà sapere che il colosso Usa non solo ha già annullato la perdita isolata del 2018, ma sprizza salute da tutti i pori. Il bilancio dei primi sei mesi del 2019 dice che i ricavi viaggiano al ritmo consueto dei 20 miliardi l’anno. Che la redditività operativa vale il 7% del fatturato. Il gruppo a livello globale ha generato cassa libera per 800 milioni di dollari; darà 300 milioni di dividendi ai suoi soci e dulcis in fundo ha un piano di riacquisto delle sue azioni in Borsa da 750 milioni di dollari.

Che tempismo per i manager di punta di Whirlpool. La situazione di crisi sarà risolta una volta per tutte, lo è stato in breve tempo e a Wall Street si torna a sorridere. Sulla pelle di 400 lavoratori, più i mille dell’indotto. La vecchia ricetta del sano capitalismo funziona. Tanto il prezzo lo pagano sempre i meno forti.