Spettacoli

Intervista a Marco Berry, l'ex-iena sfida la forza di gravità

Mirko Crocoli

“Yes it’s possible!, perché il sogno, come il respiro, è l'ultima cosa che dovrebbe abbandonare l’uomo”.

IL SOGNO DELLO SPAZIO MAI COSI’ VICINO, “POI PORTERO’ HOUDINI IN TEATRO"

Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con l’instancabile e simpatico Marco Berry, “Iena” di lungo corso e volto noto del piccolo schermo. Dopo diverse trasmissioni da conduttore (primi passi a “Bim Bum Bam”), ma soprattutto da inviato-precursore dello storico ed irriverente programma televisivo targato Italia Uno, è oggi impegnato in un nuovo progetto, stavolta (come i ben informati sanno) quasi al limite dell’impossibile. Tuttavia, come poi ci spiegherà, anche davanti alle sfide più ardue - gravità compresa! -  egli non è certo il tipo da tirarsi indietro tanto facilmente. Parola d’ordine: mollare mai!       

D. Marco, una ne fai cento ne pensi. Ci vuoi spiegare cos’è questa storia dello spazio?

R. Voglio andare nello spazio. Il nome del progetto è “Yes it’s possible!”, un vero e proprio sogno che va avanti da un bel po’, merito dell’astronauta Maurizio Cheli, il quale, anni fa, mi chiese di presentare un suo libro titolato “Tutto in un istante. Le decisioni che tracciano il viaggio di una vita”. Avvincente. Man mano che leggevo la passione mi avvolgeva. Una continua sorpresa. La sua vita mi ha letteralmente stregato; fatica, difficoltà, duro lavoro, aspirazioni e sogni, che alla fine, sono divenuti realtà. La seconda lettura mi ha invece aiutato ad approfondire la parte tecnica e la terza il cosiddetto “colpo di grazia!”.

In quell’istante mi sono reso conto che avrei potuto scrivere uno spettacolo sulle sue gesta. Dopo aver presentato il testo al “Salone del libro” cominciai a consultare altre pubblicazioni perché capii che, per scrivere uno show credibile, avrei dovuto inevitabilmente conoscere ogni minimo dettaglio. Ho anche scoperto lungo il percorso di essere ironicamente destinato già dalla nascita al “miraggio” dello spazio, tant’è che oggi - 12 Aprile - si celebrano tre anniversari: i 60 anni dal primo uomo nello spazio (Yuri Gagarin, 12 Aprile 1961), i 40 anni dal primo volo Shuttle (12 Aprile 1981) e il mio compleanno! Evidentemente era tutto segnato.

E’ un progetto che dura 365 giorni, maturato perché andavo a raccontare nelle scuole la metafora del “Team spaziale”, dove, ovviamente, non c'è soltanto la figura dell’astronauta, ma anche il resto dei componenti del gruppo di lavoro, l’intera equipe. Tutti sono fondamentali, persino il tecnico che controlla la temperatura del propellente liquido. L’idea è partita sui social, senza fondi, ma con la consapevolezza che per superare i vari test fino al countdown finale non sarebbe stato affatto semplice. C’è da mettersi in forma perfetta, seguire un “tragitto” estenuante, lanciarsi con il paracadute, saper pilotare un aereo, imparare bene almeno un’altra lingua e – soprattutto – crederci, crederci, crederci. Un impegno fisico e mentale non da poco.

D. E l’età? Non è vincolante?

R. Naturalmente non posso fare l'astronauta, ma il turista spaziale sì. Non è vietato a nessuno. Programma internazionale peraltro a cui stanno lavorando soltanto in quattro: Richard Branson, Vladimir Putin, Elon Musk e Xi Jinping. Se si superano i test non ci sono preclusioni di età e - cosa ben più importante - non è proibito smettere di sognare. Io penso che il sogno, come il respiro, sia l'ultima cosa che dovrebbe abbandonare l’uomo. Il sogno è la molla, il segreto che ti fornisce la spinta per superare ogni ostacolo. Bisogna crederci e lottare! L’obiettivo non è mai la fine, ma solo un traguardo.

D. Come ti stai preparando?

R. Da gennaio mi sono messo a dieta per le prove fisiche. Ho un gruppo di persone che mi segue, amici storici. La nutrizionista (ad esempio) Felicina Biorci, è una grandissima professionista e mi sta educando alla corretta alimentazione. C’è molta differenza tra il prima e il dopo. Ora dormo bene, mi sveglio e sono attivo, la mia mente è scattante, dinamica, il mio fisico reagisce in modo differente. Il cibo, ho imparato poi, è anche anti-infiammatorio. Felicina mi disse subito “Sappi che gli estremi sono sempre sbagliati, non ti farò morire di fame, ma non ti nutrirò in modo estremo”.

Il segreto è mangiare un po’ di tutto, ma con moderazione. Debbo inoltre ringraziare i due preparatori atletici, che poi sono padre e figlio, ovvero Luciano e Stefano Gemello, che mi stanno modellando in maniera ottimale. Molto grato sono anche al mio psicologo della prestazione, il Prof. Giuseppe “Beppe” Vercelli, colui che – peraltro – ha seguito cinque Team sportivi ad altissimo livello: La Nazionale Italiana di canoa e Kayak, la Nazionale Italiana di Tiro con l’arco, la Nazionale di sci (Maschile e femminile), la Nazionale di pallavolo maschile e il “gruppo” Juventus. Tra poco, quindi a maggio, inizierò il corso, seguito dal campione del mondo di paracadutismo, per imparare a lanciarmi da un aereo! Step by step. Ci vuole infinita pazienza. 

D. E la tua famiglia? Come sta vivendo questa incredibile avventura?

R. Io ho due figlie, Ludovica (21 anni) e Carlotta (13 anni). Ludovica era più preparata, sa che mi diverto e mi piace stimolarmi con queste cose, la più piccola rideva molto! Carlotta è particolarmente concentrata sul mio linguaggio; sai, all'inizio qualche parolaccia da intercalare mi scappava, ma servono a sottolineare quanto credi in ciò che dici e in ciò che fai. Adesso è contenta, magari quando perdo dei chili mi dice cosa posso o non posso fare e soprattutto di stare attento. Si preoccupa!  

D. La domanda che molti ti faranno è “ma tu ci arriverai davvero nello spazio?”.

R. Domanda che mi rivolgo da solo più volte, ma prima mi chiedo anche “Tu ci credi veramente?” e la risposta è “Si, ma sappi che dovrai lottare”. L’obiettivo di arrivare nello spazio e di allargare il progetto diventa sempre più “open”, anche attraverso i social e con uno specifico programma TV (ho una piccola troupe con la quale sto documentando tutto). Ce la farò? E se non ce la faccio? La risposta è che il mio obiettivo principale, oltre ad arrivare nello spazio, è anche quello di ritrovarmi tra dieci anni davanti ad una persona che mi dirà “Ciao Marco, ti ricordi il Yes, it's possible? Io ti seguivo e mi sono lasciato coinvolgere dal tuo entusiasmo. Sai, io ho un sogno e ho deciso di lottare per esso”.

Quando accadrà questo io saprò di aver vinto. Tuttavia non posso nascondere che ci sono momenti durissimi, attimi che sono al top e giornate storte. Sarebbe sciocco pensare che tutto sia positivo. Ma è dagli errori che si impara, sono la nostra fucina, la nostra ricchezza. Ti faccio un esempio. Non avevo calcolato di avere 14 kg in più a gennaio e mi sono messo subito a correre. Dopo dieci giorni è arrivato il primo stiramento al polpaccio. Brutta situazione. Inizio con le fisioterapie, mi riattivo con gli allenamenti e cerco di avvalermi dei suggerimenti di personaggi dello sport che sanno cosa significa soffrire e riprendere dopo un infortunio. Cadere e rialzarsi.

Tra questi Roberto Cocco, ex campione italiano di pesi medi di pugilato, con il quale mi sono preparato assiduamente. E indovina? Sfortuna nella sfortuna. Mentre ci allenavamo con il sacco altro incidente; stavolta alla schiena. L’ennesimo, come se il polpaccio non bastasse. Delusione massima, animo a terra, ma tentazione di mollare mai. E’ proprio nei momenti più brutti che si deve avere sempre la virtù di aspettare, aspettare, aspettare! Senza farsi prendere dalla sconforto, dall’avvilimento o, peggio ancora, dal senso della disfatta. Mio Nonno diceva “Ricordati che i grandi uomini di pensiero sono quelli che piantano un seme di una pianta della quale sanno che non godranno mai l'ombra”.

D. Torniamo un po’ indietro. 15 anni di Iene. Ne vogliamo parlare?

R. Se proprio dobbiamo fare un lungo salto nel passato io nasco prestigiatore, me ne occupavo a “Bim Bum Bam” con Sandro Fedele, Marina Morra e Paolo (Bonolis). Poi giunse il programma seguitissimo di Parenti con l’amico e collega Enrico Lucci (ma anche altri ovviamente), periodo a dir poco meraviglioso del quale mi porto dietro soprattutto gli sbagli, tutti i miei errori personali, perché è quello che io solerte riguardo. Ho un brutto difetto, non riesco mai a notare la cose buone di me, sempre e solo gli errori. Con le Iene ho chiuso perché me ne sono andato, ovviamente con serenità, perché non la sentivo più come la famiglia di un tempo. Ora è diventata più una “multinazionale”. Difficile spiegare.

Poi mi piaceva anche l'idea di fare altro. Il programma “Gli invisibili”, ad esempio, è nato perché già negli anni de “Le Iene” avevo la curiosità di incontrare chi, purtroppo, vive per la strada. Abbiamo scritto quella striscia serale all’interno del quale volevamo raccontato con mente, corpo e cuore, le storie complesse di un mondo parallelo al nostro. Dal benessere alla povertà più assoluta. Ovviamente grazie a “Le Iene” ho avuto soprattutto la possibilità di inventarmi nuovi linguaggi. Io fui il primo, tanto per dirne una, ad utilizzare una telecamera nascosta. Poi sappiamo come è andata a finire.  

D. Covid-19. Come hai vissuto l’ultimo anno e qual è il tuo punto di vista sui vaccini?

R. Il primo lockdown l’ho vissuto pensandolo come un limite che poteva diventare una opportunità, sfruttando il tempo per crescere. Questo secondo periodo confuso invece lo vivo diversamente, con molta più fatica perché, anche a causa della distribuzione dei colori, non si capisce niente! Per quanto riguarda i vaccini, tu sai che io ho fatto tra i vari programmi “Inarrestabili” dedicato al “mondo dei camion”. In quel contesto mi è capitato di entrare nella logistica di Bari, Genova e Venezia; ove arrivano, partono e vengono trasferiti i vari prodotti che giungono via terra, mare o aereo.

Posti al limite dell’umana comprensione, merci che devono assolutamente girare, e alla svelta, altrimenti il grande circuito si arresta. Quindi ho pensato che per la distribuzione del vaccino la cosa migliore fosse che il governo contattasse i tre capi delle tre principali logistiche per fare un progetto in comune. Poi io sono di Torino e qui c'è la scuola di applicazione e secondo me, già all’epoca, pensavo che l’organizzazione andava data in mano all’esercito. Utopia? Estrema ratio? I fatti mi hanno dato poi ragione. Nel mentre ci sono stati dei cambi nella cabina di regia, non voglio fare nomi, ma quando sono arrivate le “primule” da installare nelle piazze ho capito che tutto ciò che veniva detto non avrebbe funzionato. L’idea (o almeno la percezione) di spendere 500 milioni per costruire degli pseudo gazebo all’interno delle città non mi convinceva. Ed infine è arrivato Draghi che, con una mossa a sorpresa, ha incaricato un Generale dell'esercito (Alpino) ad occuparsi del “fronte-pandemia”, il quale – caso strano – si occupa proprio di logistica. Diciamo che non ci voleva un genio!

Se mi chiedono dei vaccini? Io rispondo certo che sono favorevole! Vogliamo negare che esiste il Covid? Impossibile. C’è un modo per uscirne? Assolutamente. L’immunità tramite vaccino! Allora mettiamoci in lista e aspettiamo il nostro turno. Dobbiamo fidarci della scienza, senza se e senza ma. A conclusione ti confido un pensiero utopistico. Io penso che questa pandemia ci debba insegnare che esiste un solo grande Paese, è il nostro pianeta. Dovremmo vivere tutti in maniera più comune!

D. Quando riapriranno cos’hai in cantiere? Teatro, Tv, spettacoli?

R. Il mio settore al momento è completamente immobile, anche la cultura più spicciola. Mi piacerebbe raccontare lo Spazio e il mio progetto in TV attraverso un diario. In teatro vorrei riprendere alcune idee che avevo avviato, tra le quali la vita di Houdini, che avevo concepito da zero, ma che poi con le chiusure ho dovuto interrompere, come tutti d’altronde. Poi volevo portare in scena lo spettacolo “MindShock: Nessuna scelta è libera”, analizzando con maniacale accuratezza tutti i sistemi e i meccanismi utilizzati per condizionare una scelta, ex: dalle grandi multinazionali alle pubblicità, dalle sette religiose alla politica.  

D. Marco, oggi sono 58! Auguri. È presto ancora per fare bilanci oppure già una prima linea puoi tirarla? È positiva fin qui?

R. Se per bilancio intendi quello della vita, si può sempre fare meglio, e così anche per il progetto “Yes it’s possible!”. Le cose non vanno mai come avevi programmato, c’è sempre un inconveniente che ti aspetta per farti cadere. Ma io sono un’inguaribile ottimista, ho imparato che gli errori sono una miniera d’oro, dalla quale occorre farne tesoro! Il bilancio è molto positivo, ho incontrato una miriade di persone interessanti. Sono in un viaggio che ha toccato 1/4 del percorso, mi sto divertendo, ma la vera sfida deve ancora iniziare. E poi, con totale sincerità, ti confesso che mi piace lasciarmi incuriosire dalla giornata, mi concedo una sorta di “permesso” di farmi stupire e meravigliare da tutti i dettagli, che – credimi - sono tanti e belli!