Esteri

Cina-Australia ai ferri corti: una guerra commerciale in cui perdono entrambe

di Vincenzo Caccioppoli

Un nuovo fronte di scontro diplomatico sta facendo capolino in Asia, le cui ripercussioni potrebbero avere effetti sull’equilibrio di tutta l'area asiatica

L'Australia sta improvvisamente affrontando un vasto assalto economico dalla Cina, di gran lunga il suo principale partner commerciale. La scorsa settimana, Pechino ha imposto dazi superiori al 200% sulle importazioni di vino australiano, sostanzialmente chiudendo il più grande mercato di esportazione del settore. La Cina ha interrotto le spedizioni di carbone australiano, lasciando le navi bloccate al largo delle coste cinesi e ha bloccato o limitato le importazioni di una dozzina di altri prodotti, tra cui carne bovina australiana, zucchero e legname. Le sanzioni finora hanno colpito un terzo di tutte le esportazioni australiane verso la Cina.

Tutto ciò è stata una sorta di rappresaglia cinese per le mosse del governo australiano che ha irritato Pechino, che il mese scorso ha presentato a Canberra uno lungo elenco di ben 14 rimostranze. Includevano l'appello del primo ministro Scott Morrison per un'indagine internazionale imparziale sulle origini del COVID-19, che è emerso per la prima volta nella città cinese di Wuhan, così come il divieto australiano di approvvigionamento dal gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei e le restrizioni sulle acquisizioni di investimenti cinesi.

Durante il fine settimana, il ministro del Commercio australiano ha annunciato la risposta del governo: porterà una causa contro la Cina presso l'Organizzazione mondiale del commercio. La Cina ha risposto rilanciando in un tweet di Zhao Lijian, esponente del ministero degli Eteri alcune foto, risultate poi un fotomontaggio, che esibivano un soldato australiano usare violenza contro un bimbo afghano. Canberra ha immediatamente protestato chiedendo immediate scuse al governo cinese. Scuse mai arrivate.

Insomma un nuovo fronte nella guerra diplomatica internazionale sta facendo prepotentemente capolino in Asia, le cui ripercussioni potrebbero avere effetti sull’equilibrio di tutta l’area asiatica. Questo peggioramento delle relazioni fra i due paesi potrebbe creare tensioni su tutta l’area a cominciare dall’alleato storico dell’Australia, la Nuova Zelanda, che non a caso è stato fra i primi paesi a criticare duramente la Cina per l’episodio del tweet del suo ministero degli Esteri sull’Afghanistan.

Ma la tensione potrebbe avere pesanti ricadute sull’economia dell’Australia e a cascata su tutta l’area, proprio nel momento in cui il paese australiano sembrava sulla via del recupero dopo la crisi derivata dalla pandemia. L'economia australiana, infatti, sta crescendo di nuovo dopo che la pandemia di coronavirus l'ha spinta alla sua prima recessione in tre decenni. Ed è proprio per questo che il paese deve assolutamente evitare che la guerra commerciale con la Cina, il principale paese di sbocco per le sue esportazioni, abbia un ulteriore escalation.

L'economia australiana è cresciuta del 3,3% nei tre mesi terminati a settembre rispetto al trimestre precedente, ha dichiarato mercoledì l'Australian Bureau of Statistics. La ripresa è stata guidata in gran parte dal miglioramento della spesa delle famiglie, poiché le restrizioni del Covid-19 sono state costantemente revocate nella maggior parte del paese. (La principale eccezione è stata lo stato altamente popoloso del Victoria, che è stato strettamente bloccato per una parte del trimestre a causa di una recrudescenza del coronavirus.). Ma ora le tensioni di Canberra con Pechino potrebbero gettare un'ombra sulla ripresa.

Parlando con i giornalisti mercoledì, il tesoriere Josh Frydenberg ha definito la disputa con la Cina una "situazione molto grave. La Cina è il nostro partner commerciale numero uno. Molti posti di lavoro australiani dipendono dal commercio", ha detto, aggiungendo che l'Australia è alla ricerca di accordi di libero scambio con altri partner in tutto il mondo, inclusa l'Unione europea, nel tentativo di ridurre il rischio. "Sono molto ottimista sulle opportunità per i nostri esportatori in tutto il mondo", ha concluso Frydenberg.

Ma molti non sono cosi ottimisti come il politico australiano, gli scambi tra i due paesi sono stati valutati a 215 miliardi di dollari australiani ($ 158 miliardi) nel 2018, secondo le statistiche ufficiali, e secondo i ricercatori dell'Università dell'Australia occidentale e dell'Università nazionale australiana, se quasi tutti gli scambi tra i due venissero chiusi, costerebbe all'Australia circa il 6% del PIL.

Ma anche per la Cina un prolungamento delle tensioni commerciali potrebbe riservare ingenti danni per la sua economia, anche alla luce del recente accordo commerciale RCEP fra le principali nazioni asiatiche, di cui proprio Giappone ed Australia rappresentano proprio con la Cina i cardini. Come accaduto già con la guerra commerciale di Trump che potrebbe aver anche danneggiato la Cina, sebbene abbia in gran parte reindirizzato le esportazioni interessate dai dazi, è stata pagata anche dalle aziende e dai consumatori statunitensi sotto forma di prezzi più alti. Risultati simili potrebbero essere attesi dai divieti cinesi sui prodotti australiani.

L'Australia, a parte la sua vicinanza, è diventata uno dei principali partner commerciali della Cina perché è affidabile, i suoi prodotti sono di alta qualità e i suoi prezzi sono competitivi. Basti pensare al carbone da coke. L'Australia - principalmente BHP - fornisce circa la metà del carbone metallurgico importato dalle acciaierie cinesi. Sebbene la Cina abbia una massiccia industria del carbone nazionale, le sue acciaierie hanno bisogno del carbone premium prodotto dall'Australia. I prezzi del carbone interno cinese, proprio una causa di ciò, sono aumentati drasticamente - ora sono circa il doppio del prezzo del carbone importato - e anche i prezzi del carbone da coke statunitense e canadese che viene sostituito al prodotto australiano sono aumentati.

Quindi, le acciaierie cinesi stanno pagando molto di più per carboni di qualità inferiore che riducono la produttività delle loro operazioni, producono emissioni più dannose per l'ambiente e portano a prodotti di qualità inferiore. Difficile perciò immaginare che questa guerra commerciale possa continuare a lungo per ambo i contendenti, anche se sulla questione di Taiwan, Hong Kong e sulle origini del Covid, la Cina ha già mostrato di non accettare nessuna intromissione di sorta da nessuno.

Ma sicuramente le questioni economiche, come già avvenuto in passato, potranno sicuramente essere argomenti assai utili per contribuire a rasserenare gli animi, soprattutto in un momento di recessione mondiale con pochi precedenti dal dopoguerra ad oggi.