Esteri
Birmania: condannati i giornalisti, Aung San Suu Kyi tace
Birmania: Aung San Suu Kyi non difende la libertà di stampa
In Birmania (oggi Myanmar) accadono cose strane. Sono stati condannati (in appello) due giornalisti, Wa Lone (32), e Kyaw Soe Oo (28), dell’agenzia Reuters, con l’accusa di “violazione dei segreti di Stato” per aver svolto il loro lavoro in una inchiesta sul massacro della minoranza musulmana dei Rohingya nell’ovest del Paese, da parte delle forze armate al potere. I due giornalisti erano stati arrestati nel 2017. Sthepen Adler, a capo della Reuters, ha lanciato l’allarme sulla libertà di stampa in Birmania come ha fatto anche il portavoce della Ue che ha deplorato il fatto. E fin qui, purtroppo, niente di nuovo come le storia di tutto il mondo racconta (compresa, a volte, l’Italia).Il fatto strano è che la Birmania è un Paese particolare e lo è grazie alla presenza al potere di una donna che dovrebbe essere la paladina dei diritti umani che le hanno fruttato, a parte una visibilità mondiale, anche il premio Nobel per la Pace e che invece tace. Infatti la pasionaria (dei suoi diritti) Aung San Suu Kyi, ha per anni combattuto (almeno a parole) la giunta militare al potere, ma ora che è Consigliere di Stato, sta zitta colpevolmente e non è la prima volta che assume questo comportamento sconveniente svelando il suo vero volto opportunista che ha ingannato per tanti anni il mondo intero. Infatti, già nel 2017, un’altra premio Nobel per la Pace, Malala Yousafzai, l’aveva invitata a prendere posizione sulla repressione militare condotta contro la minoranza musulmana (costretta ad una fuga di massa verso il Bangladesh) e la stessa cosa aveva fatto l’allora Ministro dello Scacchiere britannico Boris Johnson, ma lei ha fatto, come si suol dire, orecchie da mercante, pur di conservare la cadrega. Le proteste nei suoi confronti sono proseguite con presa di posizione come quella di Bono degli U2, mentre l’Università di Bristol, il Comune di Oxford e l’Università di Londra Queen Mary hanno ritirato le onorificenze prima concesse. Da ultimo, nel settembre 2018, il Canada le ha revocato la cittadinanza onoraria, ma lei, figlia di un generale, con il suo sorrisetto sprezzante, continua a tacere.