Esteri

Israele, rischio escalation in Libano. Dagli affari ai migranti: gli interessi italiani minacciati a Beirut

di Mauro Indelicato

Contingente di soldati, solide relazioni economiche, spettro di una nuova ondata migratoria: ecco perchè l'Italia non vuole vedere il Libano cadere nel baratro della guerra... Analisi

Ecco tutti gli interessi italiani minacciati in Libano

In Libano la situazione potrebbe precipitare definitivamente da un momento all'altro. Le esplosioni dei cercapersone e dei dispositivi elettronici in dotazione ai miliziani di Hezbollah, suona come uno degli ultimi atti prima della sempre più probabile definitiva escalation. Giovedì, non a caso, il leader dei miliziani sciiti, Hassan Nasrallah, ha parlato di “atto di guerra da parte di Israele”.

Il Paese dei cedri è strategico per la regione e, come visto già in passato, una sua destabilizzazione ha effetti negativi in tutto il medio oriente. Ma non solo: l'Italia ha molti interessi in territorio libanese, sia di carattere politico che economico. Roma quindi avrebbe molto da perderci in caso di guerra diretta tra lo Stato ebraico e il movimento sciita.

I blindati della missione Unifil attaccati nel sud del Libano

La prima preoccupazione ha carattere militare. Dal 2006, l'Italia è il Paese più impegnato nell'ambito della cosiddetta missione “Unifil II”. Ossia la missione mandata avanti dalle Nazioni Unite al termine del conflitto breve ma cruento tra l'esercito israeliano e i combattenti di Hezbollah. I nostri militari rappresentano il contingente più numeroso nell'ambito di Unifil, con oltre 1.200 soldati italiani che, lungo la cosiddetta “Blu Line” che divide Israele dal Libano, indossano i caschi blu.

Fino a oggi, la missione Unifil è rimasta fuori dalle tensioni. Più volte, sia da Roma che dalla sede del Palazzo di Vetro di New York dell'Onu, sono state lanciate rassicurazioni sull'incolumità dei caschi blu. La missione cioè non sarebbe nel mirino di nessuna delle parti in causa e, in caso di guerra, la loro funzione sarebbe quella di mediatori.

Ma il rapido evolversi della situazione potrebbe portare al coinvolgimento del contingente Onu negli scontri. Un primo segnale di allarme è arrivato mercoledì da Tiro, una delle città del sud del Libano toccate dall'operazione Unifil. Il suo distretto è a maggioranza sciita e, da queste parti, non mancano estimatori di Hezbollah.

Quando si è diffusa la notizia della nuova ondata di esplosioni a danno dei miliziani sciiti, un gruppo di cittadini ha lanciato sassi contro un lince con le insegne dell'Onu. Non si trattava di militari italiani e i caschi blu a bordo non sono stati feriti, ma l'episodio dimostra che, in caso di guerra totale, i membri di Unifil potrebbero rimanere in qualche maniera esposti.

Economia e immigrazione, perché l'Italia guarda da vicino al Libano

La presenza di nostri soldati nell'area più calda del Paese non rappresenta l'unico motivo di allarme per Roma. Il Libano è strategico per il Medio Oriente e per l'area mediterranea, dunque anche per l'Italia. Non costituiscono certo un mistero i rapporti tra la penisola e il Paese arabo, risalenti agli anni dell'immediato dopoguerra e soprattutto al periodo in cui Beirut aveva la nomina di “Svizzera del medio oriente” dove poter concludere affari e trattative.

Del resto, se nel 2006 la mediazione italiana è stata presa in seria considerazione sia da Israele che dal Libano per dar vita alla missione Unifil II, vuol dire che l'influenza di Roma non è secondaria. L'Italia da tempo staziona tra i primi due posti della classifica dei principali fornitori di Beirut: le nostre esportazioni da queste parti hanno sempre prodotto un volume di affari nell'ordine di svariati miliardi di Euro, anche nonostante la crisi economica che dal 2019 attanaglia e paralizza il Libano.

Una crisi che, tra le altre cose, ha provocato la nascita di un'inedita rotta dell'immigrazione. Sempre più imbarcazioni, negli ultimi anni, sono salpate dalle coste libanesi per dirigersi verso i territori dell'Ue. Cipro è la scelta più vicina, ma spesso gli scafisti preferiscono passare a largo della Grecia, Paese che ha la nomina di respingere senza troppi clamori i migranti presenti in mare, e arrivare in Italia. La rotta libanese appare ancora marginale rispetto alle altre più “tradizionali”, ma sempre più in crescita rispetto agli anni passati. Anche perché dal Paese dei cedri si arriva in Europa anche tramite la rotta balcanica, altro percorso in grado di garantire un accesso illegale all'interno dei nostri confini.

I tentativi di mediazione di Roma

Contingente di soldati, solide relazioni economiche, spettro di una nuova ondata migratoria: le ragioni per cui l'Italia è interessata a non vedere il Libano cadere nel baratro della guerra sono molte. Non a caso gli Stati Uniti nei mesi scorsi hanno chiesto alla diplomazia di Roma di attivarsi tra le parti. A gennaio, in particolare, è stato Amos Hochstein in persona, ossia l'inviato speciale della Casa Bianca, a voler incontrare a Palazzo Chigi il presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Washington, anch'essa interessata a vedere scongiurato il rischio di un nuovo conflitto prima della fine del mandato di Joe Biden, crede che il know how maturato dall'Italia in questi anni sul campo e i legami del nostro Paese sia con il Libano che con Israele possano dare un contributo alla distensione.

Difficile al momento dire in che modo l'Italia sia coinvolta nella difficile opera di mediazione, certo è che se dovesse essere data una chance alla diplomazia, Roma è chiamata a recitare un ruolo di primo piano. Sperando che questo serva per mettere almeno parzialmente a tacere le armi.  

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