Esteri
"In Congo la guerra è economica". Ecco che cosa c'è dietro l'attacco
Italiani uccisi in Africa, parlano Mario Giro e Cécile Kyenge
IMBOSCATA A LUCA ATTANASIO, AMBASCIATORE ITALIANO MORTO NELLA ZONA PIÙ PERICOLOSA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Ne parliamo con Mario Giro e Cécile Kyenge
Lunedì mattina le agenzie di stampa e la Farnesina danno la notizia. Sono morti per un’imboscata lungo la strada che dalla città di Goma, al confine con il Ruanda, porta a Rutshuru nella zona est della Repubblica Democratica del Congo, l’ambasciatore italiano a Kinshasa Luca Attanasio e il carabiniere che era con lui, Vittorio Iacovacci. Poco dopo si saprà che è morto anche il loro autista congolese, Mustapha Milambo.
Immediato il cordoglio del Quirinale, del Presidente del Consiglio Mario Draghi e delle istituzioni italiane. Ieri sera sono arrivate a Ciampino le salme dell’ambasciatore e del carabiniere. A riceverle, insieme ai familiari, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il premer Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. In attesa dei funerali, bandiere a mezz’asta e lutto nelle rispettive cittadine, Limbiate e Sonnino, ma anche voglia di capire l’accaduto.
L’ambasciatore Attanasio stava viaggiando con la delegazione dell’Agenzia Onu, World Food Programme che esprime, in un comunicato, vicinanza alle famiglie colpite dalla grave perdita.
Aggiunge inoltre che altri passeggeri sono stati feriti, confermando che la delegazione italiana era partita da Goma diretta a Rutsharu, per un progetto sull’alimentazione a scuola. Viaggio che l’attacco al convoglio italiano ha bruscamente interrotto.
“Il WFP”, si legge nel comunicato “lavorerà con le autorità nazionali per determinare i dettagli dell’attacco, che è avvenuto su una strada che era stata precedentemente dichiarata sicura”.
“Non è chiaro quanto sia accaduto” dice Mario Giro ex vice ministro degli Affari Esteri, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità Sant’Egidio e docente di relazioni internazionali. “Pare siano stati rapiti” prosegue, “non erano scortati perché, secondo il WFP in quella zona non ce n’era bisogno. Invece tutta quell’area è pericolosa. Tutto il Kivu è zona pericolosa, anche se comprende la zona turistica del Parco Naturale dei Virunga. È una zona altamente insicura”.
Sull’insicurezza della zona è esplicita anche l’ex ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, nata nel Katanga, provincia della Repubblica Democratica del Congo.
“il luogo dov’è avvenuto l’assalto è un’area che dagli anni Novanta ad oggi non ha mai avuto pace. L’ambasciatore per passare in quella zona così pericolosa avrebbe dovuto avere un dispiegamento di sicurezza ben superiore. Non poteva bastare la presenza di un carabiniere. La morte dell’ambasciatore e delle persone che erano con lui è dovuta proprio all’insicurezza. È una strada lungo la quale i ranger e le persone del luogo sono spesso uccise, raramente accade agli occidentali”.
Ieri però il vice premier congolese Gilbert Kankonde, interrogato sull’accaduto, ha detto di non essere stato informato del viaggio dell’ambasciatore italiano. Se fosse così, l’assenza di mezzi blindati e di sicurezza sarebbe dovuta alla mancata comunicazione dello spostamento. Nessuno sapeva che quella mattina l’ambasciatore italiano avrebbe fatto quel percorso. Un viaggio di cui i servizi di sicurezza congolesi non sapevano niente, dice anche Aba Van Ang, commissario provinciale della polizia nazionale congolese.
Come mai però un uomo attento, un diplomatico che da anni viveva in Congo non avrebbe comunicato i suoi spostamenti collegati a una missione ufficiale?
“A questa domanda risponderanno le autorità locali che hanno avviato le indagini”, dice la Kyenge che conferma l’affermazione delle autorità locali di non essere stati informati dell’itinerario di viaggio del diplomatico italiano.
“La morte dell’ambasciatore Attanasio è una grande perdita per il nostro Paese perché lui credeva nel percorso di pace necessario per il Congo. Per rendergli onore i riflettori devono rimanere accesi sul suo lavoro”.
Su una possibile premeditazione dell’attentato, Mario Giro è scettico.
“L’itinerario che la macchina dell’ambasciatore ha fatto” spiega, “era anche l’unico possibile”. “Inoltre”, aggiunge, “conoscevo personalmente Luca Attanasio e posso dire che non era persona che avrebbe corso rischi, magari per un’escursione al parco. Il mio ricordo di lui è che fosse un uomo molto impegnato nel lavoro diplomatico e che riteneva la cooperazione allo sviluppo un asset della diplomazia italiana”.
Per il momento sui motivi e sulla dinamica dell’assalto nessuno si sbilancia. Si aspetta l’esito delle indagini, “non solo per la condanna dell’esecutore materiale”, dice la Kyenge, “ma anche perché un’inchiesta internazionale indipendente possa far luce sui motivi per cui la zona Est della RDC è totalmente insicura”.
Tornando per un attimo alle ipotesi, “pare” dice Giro “che la macchina con a bordo gli italiani e l’autista congolese fosse stata fermata con l’obiettivo di rapirli. Come accaduto due anni fa a una coppia di turisti inglesi. Il colpo di uno sparo però avrebbe fatto intervenire i ranger del parco che sono accorsi per liberare l’ambasciatore. Purtroppo però Attanasio aveva già ferite gravi all’addome, quindi portato all’ospedale di Goma è morto poco dopo. I banditi intanto erano fuggiti portando con sè il carabiniere, per poi ucciderlo e abbandonarlo”. Stessa sorte per l’autista Mustapha Milambo, il cui nome sulle pagine dei giornali è, dice la Kyenge, un omaggio a lui, ma anche alle troppe vittime sconosciute uccise nella stessa zona.
Su chi siano i banditi che hanno assalito il convoglio italiano i dubbi invece sono pochi.
“Sono le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda, FDLR. Ruandesi hutu che si sono macchiati del sangue del genocidio nella guerra fratricida del 1994. Da allora si sono rifugiati in Congo e si guardano bene dal tornare in Ruanda”, dice Giro.
Per capire l’accaduto è necessario fare un passo indietro e ricordare il genocidio tutsi. È il 6 aprile del 1994 quando in Ruanda inizia la guerra etnica tra tutsi e hutu. Per mettere in salvo i tutsi le agenzie umanitarie internazionali allestiscono venticinque campi profughi. Tutti a Goma, città sul confine tra Ruanda e Zaire, come allora si chiamava la RDC.
In quei campi si rifugiano anche gli hutu, quando gli eventi dello scontro volgono a loro sfavore. Però, scrive nei suoi reportage del tempo la giornalista olandese Linda Polman, per loro l’esodo dal Ruanda non è una fuga per mettersi in salvo ma una ritirata strategica. Non vanno a Goma perché sconfitti ma per evitare la sconfitta, sapendo che nei campi sarebbero stati al sicuro dall’esercito tutsi. A Goma si trasferisce l’intero governo estremista hutu, ministri e dignitari che si sistemano negli alberghi per turisti, lungo le sponde del lago Kivu, portando con sé anche milizie ed esercito.
“A Goma il vecchio stato estremista aveva creato uno Stato nello Stato”, scrive la Polman.
Una condizione che si trascina negli anni e con i diversi governi, arrivando fino ad oggi e rendendo l’area tra la più insicure del Paese.
Sulle milizie hutu presenti a Kivu e sui loro assalti l’opinione di Giro è che “siano soldati persi nella foresta, cui non importa niente di rapire o uccidere un diplomatico”.
“È un’area a rischio” conferma la Kyenge “molti rifugiati ruandesi vivono lì, anche quelli del FDLR, ribelli hutu responsabili del genocidio tutsi che ha causato ottocentomila morti”.
I ribelli del FDLR, però, con una dichiarazione alla BBC locale, respingono l’accusa, dicendo di non aver niente a che fare con l’assassinio del diplomatico italiano, del carabiniere e dell’autista, “non siamo stati noi gli autori dei feroci assassini”.
Resta il fatto che la zona di Kivu, nella regione Est della Repubblica Democratica del Congo, è notoriamente fuori controllo.
Una zona nella quale, ripete la Kyenge, è risaputo che siano presenti molti gruppi militari e milizie ribelli provenienti dal Ruanda ma anche dall’Uganda e da altri paesi confinanti.
Tutti lì per un motivo semplice, appropriarsi delle ricchezze del sottosuolo.
Si parla di guerra civile o etnica ma in realtà quella che sconvolge il Congo è una guerra economica che da decenni infuoca il paese, comprendendo tutta la zona Est e Kivu Nord e Sud, oltre alla regione del Maniema, dice l’ex ministro Kyenge.
Per riportare pace e sicurezza nel Paese, per evitare episodi violenti come quello accaduto ai nostri connazionali, secondo la Kyenge è fondamentale togliere dalle mani dei ribelli le ricchezze minerarie. Quelle del Katanga con il cobalto, di cui il Congo ha la metà delle riserve mondiali, e l’uranio. Poi i diamanti nella regione del Kasai. Infine il coltan, preziosissima miscela, composta da due minerali, usata in elettronica e per i telefonini, di cui il Congo è ricchissimo.
Sono queste ricchezze che alimentano i gruppi ribelli, spiega la Kyenge.
Ora per l’Italia è il momento del cordoglio. Poi ci sarà l’indagine sugli omicidi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci. Un dramma dalle cause profonde, quelle che costringono il Congo a convivere con un’endemica pericolosa insicurezza, cinque milioni di sfollati interni e banditi armati, cui neppure i 17.500 caschi blu Monusco, (Organizzazione dell’Onu per la RDC), dispiegati sul territorio riescono ad impedire di terrorizzare e uccidere la popolazione. E stavolta anche un diplomatico, impegnato per la pace, e il carabiniere che era con lui.