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Esteri
La Corte Internazionale di Giustizia: insediamenti di Israele in Cisgiordania violano il diritto internazionale

L’AIA: la Corte Internazionale di Giustizia riconosce che gli insediamenti di Israele in Cisgiordania e Gerusalemme est violano il diritto internazionale.

Oggi pomeriggio all’Aia, nel corso dell’udienza fissata presso la Corte Internazionale di Giustizia, la massima corte delle Nazioni Unite ha affermato che la politica di insediamento di Israele in Cisgiordania e Gerusalemme est “viola il diritto internazionale”, e ha emesso un parere consultivo non vincolante sulla legalità dell’occupazione israeliana esercitata da 57 anni nei territori occupati della Cisgiordania e Gerusalemme Est. Purtroppo, come ormai l’esperienza ci ha insegnato in questi anni, la sentenza rischia di avere più effetto sull’opinione internazionale che sulle politiche israeliane. Tuttavia, è un altro punto a favore della Palestina. “Non c’è alcuna differenza tra avamposto e insediamento". Così si potrebbe riassumere il lungo dispositivo letto oggi dal presidente della Corte internazionale di giustizia, Nawaf Salam. Ha impiegato circa un'ora per leggere il parere completo formulato dalla giuria composta da 15 giudici provenienti da tutto il mondo. Fra le tante cose, riporta che “la commissione ha ritenuto che il trasferimento da parte di Israele di coloni in Cisgiordania e Gerusalemme, così come il mantenimento della loro presenza da parte di Israele, è contrario all’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra”. La Corte ha inoltre osservato con “grave preoccupazione” che la politica di insediamento di Israele si è ampliata, e ha chiesto che dai territori palestinesi occupati della Cisgiordania vengano evacuati i coloni e ripristinati i danni causati dai coloni e dalle politiche di sfruttamento dei Territori portate avanti in questi decenni da Israele. La corte ritiene inoltre che l’uso e lo sfruttamento delle risorse naturali palestinesi da parte di Israele violino il diritto internazionale e siano “incoerenti” con i suoi obblighi ai sensi del Diritto internazionale in quanto potenza occupante. L’udienza di oggi segue di sole 48 ore quella tenutasi alla Knesset, dove il 17 luglio è stata votata quasi all’unanimità una legge che vieta la nascita di uno Stato palestinese. Un tempismo sospetto, oltre che perfetto. E poco importa se la legge promulgata dal Parlamento israeliano è illegale e si rimangia la parola data negli accordi di Oslo. Per gli attuali abitanti di Israele, evidentemente, la Legge sono loro e la parola è mobile. O almeno, soggetta a infinite interpretazioni, tante quante sono quelle della Bibbia. Ma facciamo un passo indietro. Israele conquista la Cisgiordania, Gerusalemme est e la Striscia di Gaza nel corso della Guerra arabo-israeliana del 1967, nota come Guerra dei sei giorni, combattuta fra il 5 e il 10 giugno contro Egitto, Siria e Giordania che attaccano a sorpresa Israele. Le conseguenze sono drammatiche per i palestinesi, che da quel momento perdono quel poco che gli era rimasto dopo la “catastrofe” seguita alla nascita di Israele nel 1948. Fin dall’inizio lo Stato ebraico considera la Cisgiordania un territorio “conteso”, il cui futuro dovrebbe essere deciso nei negoziati, e nel mentre favorisce l’aumento della popolazione ebraica negli insediamenti disseminati nei Territori palestinesi per consolidare il suo controllo. Oltre alla Cisgiordania si annette Gerusalemme est con una azione di forza mai stata riconosciuta a livello internazionale, e da allora commette ogni sorta di crimine e angheria contro i residenti palestinesi, i quali spesso si vedono recapitare ordinanze di demolizione, a loro spese, e evacuazione. Dal 7 ottobre questi fenomeni di abusi di potere, demolizioni indiscriminate e evacuazioni forzate sono centuplicate e non c’è verso di fermarle. O meglio, un modo ci sarebbe: sanzionare lo Stato di Israele, i giudici che emettono le sentenze, l’esercito e i demolitori che le attuano. Sanzionarli a oltranza, esattamente come si sta facendo da due anni con la Russia. Ma Israele è differente. Gode dell’immunità datagli da Dio in persona, grazie alla cui parola e verbo ha diritto di vita e di morte sui gentili della terra. E i gentili, per l’appunto, sono tutti i popoli tranne il loro. Fra una guerra e l’altra, una strage e l’altra, arriviamo al 2005, anno in cui dopo aver seminato morte e distruzione per decenni, Sharon decide di ritirare da Gaza tutti gli ebrei che si erano insediati da quelle parti e lo fa con la forza, avvalendosi dell’esercito perché i coloni non ne volevano sapere di abandonare i loro campi base a bordo mare. Gaza viene “liberata” dalla presenza ebraica e in cambio viene cinta d’assedio con un bel muro di cinta. Un controllo pressoché asfissiante che farebbe andare ai pazzi chiunque. Ma non i palestinesi da Gaza che invece si organizzano e trasformano il limite in una possibilità. La vita non è semplice ma si va avanti fino a quando arriva il blocco totale del territorio dopo che Hamas prende il potere nel 2007, in seguito a regolari elezioni. Val la pena ricordare che Hamas nasce come una creatura di Israele perversamente concepita per indebolire l’Autorità palestinese e rendere sempre più remota, se non impossibile, la soluzione dei “due popoli due stati”. La creatura, come spesso accade, preso gusto al potere sfugge di mano al suo creatore e da quel momento in poi non c’è più limite all’immaginazione, se così si può dire, né per l’uno né per l’altro. Dal 2007 non c’è più stata pace nella Striscia, e il numero di stragi perpetrate da Israele e da Hamas contro i civili palestinesi non si contano. Quando vi viene raccontato che tutto è iniziato il 7 ottobre, tenete a mente che quella data è l’ultimo atto di una tragedia, non l’inizio di un dramma. Tornando al presente, e alla Corte Internazionale di Giustizia, nelle udienze di febbraio, l’allora ministro degli Esteri palestinese Riad Malki accusò Israele di apartheid e sollecitò la Corte Suprema delle Nazioni Unite a “dichiarare che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi è illegale e deve cessare immediatamente e incondizionatamente”, soprattutto per garantire allo Stato di poter sopravvivere, oltre che nascere. Sempre nel mese di febbraio la squadra palestinese ha presentato le sue argomentazioni, unitamente ad altre 49 nazioni e tre organizzazioni internazionali. Dal canto suo Israele, che considera le Nazioni Unite e i tribunali internazionali ingiusti e parziali, quando non addirittura antisemiti, alle udienze non ha inviato nessun team legale ma ha presentato commenti scritti, affermando che “le domande poste alla corte sono pregiudizievoli e “non riconoscono il diritto e il dovere di Israele di proteggere i suoi cittadini”, affrontano le preoccupazioni di sicurezza israeliane o riconoscono gli accordi israelo-palestinesi per negoziare questioni, compreso “lo status permanente del territorio, accordi di sicurezza, insediamenti e confini”. Erwin van Veen, ricercatore senior presso il think tank Clingendael dell’Aia, ha affermato che “anche se l’occupazione israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme est è sotto accusa e viola il diritto internazionale, è improbabile che le politiche israeliane cambino. Quel che crescerà sarà il suo isolamento a livello internazionale, almeno da un punto di vista legale”. Ha poi aggiunto che una sentenza del genere “Rimuove ogni tipo di sostegno legale, politico e filosofico al progetto di espansione israeliano”. Inoltre, potrebbe anche far “aumentare il numero di paesi che riconoscono lo stato di Palestina, in particolare nel mondo occidentale, seguendo il recente esempio di Spagna, Norvegia e Irlanda”. Non è la prima volta che alla Corte Internazionale di Giustizia viene chiesto di esprimere il suo parere legale sulle politiche israeliane. Due decenni fa, la Corte ha stabilito che la barriera di separazione israeliana della Cisgiordania era “contraria al diritto internazionale”. Israele ha boicottato tali procedimenti, affermando che sono motivati da ragioni politiche e di sicurezza. E infatti il muro è ancora lì, più alto e più forte che mai. I palestinesi, dal canto loro, sostengono che questa barriera equivale ad un massiccio furto di terra. Se si confronta la carta geografica della Cisgiordania prima e dopo la costruzione del muro è innegabile che una gran fetta di terra sia stata sottratta ai palestinesi nella realizzazione del muro. Solo nel 2024, Israele ha sequestrato illegalmente 23,7 km quadrati di terra palestinese nella Cisgiordania occupata, e lo ha fatto nel bel mezzo della guerra in corso a Gaza. Si tratta della più grande espropriazione illegale compiuta da Israele negli ultimi 20 anni. Un territorio pari a 3300 campi di calcio, 1250 monumenti grandi come il Colosseo, un’area grande come lo stato di Gibuti, il doppio di Puerto Rico. Insomma, tanta terra sulla quale abitava tanta gente, cacciata dalle loro proprietà, dai loro uliveti, dai loro campi dalle loro case. L’ultimo furto di terra Israele lo ha perpetrato di recente, approvando l’espropriazione/appropriazione di ben 12,7 chilometri quadrati (quasi 5 miglia quadrate) di terreni nella Valle del Giordano. Un’area strategica nel cuore della Cisgiordania. La più grande operazione di spoliazione mai approvata in un colpo solo dagli accordi di Oslo del 1993.

 

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