Esteri

Sessanta Stati in conflitto: è Terza guerra mondiale

di Vincenzo Olita *

L’Uomo non è stato molto in pace con se stesso, dalla morte di Abele discordie armate hanno accompagnato il racconto dell’umanità

Tramonto di ONU, Ue e NATO

Un mondo diffusamente armato sommato ad un esteso panorama di contrasti, frutto anche di un’accentuata radicalizzazione dei blocchi, oggi condiziona la quotidianità del Pianeta.

Sono 60 gli Stati coinvolti in guerre o in operazioni militari al proprio interno e qualche centinaia i conflitti per guerre civili, d’indipendenza, risorse idriche, contrasti interetnici, razziali, religiosi.

Certo, l’Uomo non è stato molto in pace con l’Uomo, dalla morte di Abele discordie armate hanno accompagnato il racconto dell’umanità: dalle lunghe guerre egizie, greche, romane, alle otto Crociate, da quelle misurabili in decenni, cent’anni, trent’anni, delle Due Rose, a quelle mondiali e imperialiste, allo scontro arabo – israeliano.

Però, fino a metà dello scorso secolo, altri eserciti, altri armamenti, meno belligeranti, meno alleanze (che oggi proiettano sul prossimo futuro i propri contrasti, vedasi USA – Cina), meno coinvolgimento dei civili, in sintesi: un mondo appena più umano e, se vogliamo, anche al riparo di un’informazione che poco informa e molto si adopera per precostituiti convincimenti di parte.

La politica estera viene vissuta come opportunità per gli equilibri interni, si esalta l’attività dei responsabili delle maggioranze governative, il più delle volte ridondante, retorica, inutile, definibile come turismo d’immagine.

 

Caino e AbeleCaino e Abele
 

Si va al Cairo, ad un vertice inconcludente, con qualche bilaterale, pomposa espressione di un giornalismo povero di contenuti, per dire incontro, per poi volare a Tel Aviv per affermare, nel bilaterale con Netanyahu, dopo averlo già espresso in tutte le lingue diplomatiche e in ogni salsa comunicativa, che si è con Israele. L’informazione esalta un attivismo non attivo, l’immagine di statista di spessore internazionale è implementata, ma alcuna utilità si riverbera sul conflitto.

Le crisi si rivelano buone opportunità, per visibilità ed audience, per un’informazione impegnata specialista di politica politicante ad uso domestico, carente di responsabilità deontologica, e per tanti analisti di geopolitica spesso carenti della stessa geografia.

Una rapida riflessione sul nesso tra instabilità del Pianeta e responsabili della governance ci offre un esauriente quadro della connessione. Tralasciando l’evidenza dell’eccessiva modestia politica dei leader occidentali, a partire dal presidente USA, c’è da sottolineare un altrettanto critico livello dei politici nel resto del mondo. Pensiamo allo stesso Xi Jinping e alla sua oscillante politica che, in questi mesi alle prese con un sostanziale rallentamento economico finanziario, improvvisamente sostituisce ministri a dimostrazione di fratture non usuali nella dirigenza del Paese.

Potremmo proseguire, ma ci soffermiamo sui livelli sovranazionali a partire dall’ONU e le sue Agenzie. Una condizione del tutto fallimentare, dalle grandi alle più modeste, non riesce ad intervenire sulle crisi, nei 21 mesi di guerra in Ucraina si è distinta per un non ruolo. L’apparato burocratico-finanziario, considerando anche le Agenzie collegate, è inficiato da pesanti condizionamenti della finanza internazionale d’ispirazione davossiana.

Esempi, l’Oms, dopo gli USA, ha Bill Gates come grande finanziatore con 500 milioni di dollari solo nel 2019 elargiti dalla Gates Foundation, noto centro filantropico (sic!), i contributi finanziari elargiti dai filantropi planetari alla stessa struttura ONU con il sostegno all’attività propedeutica alle risoluzioni, agende e indicazioni per la cooperazione internazionale.

Gli stessi George Soros e Gates, i due maggiori donatori privati, finanziano il Consiglio d’Europa, il primo anche la Corte penale internazionale, e decine di organizzazioni private o collegate con l’Ue, situazione che richiederebbe alle genti d’Europa una convinta riflessione sulle proprie istituzioni.

Il nostro canto, purtroppo, continua a raccontare il tramonto di ONU, Ue e NATO: il terzo da sciogliere, i primi due da rifondare se si accettasse di ragionare in autonomia sull’evidenza che le istituzioni internazionali per configurazione, struttura e leadership non possono né perseguire la propria missione né esprimere utilità per la sicurezza del pianeta.

Con la logica della contingenza politica e le criticità fin qui espresse, il conflitto israeliano - palestinese, non Israele - Hamas come l’Occidente, per sua comodità, ama raccontarlo, (Hamas nasce nel 1987, allora, dal 1947 in avanti che conflitto sarebbe stato?), è destinato a durare finché l’intelligenza politica delle parti in causa non riesca ad aver il sopravvento sulla loro storia, i loro odi, le loro aspettative.

Il pianeta potrebbe arrestarsi innanzi ad un significativo appello di statisti autorevoli, riconosciuti tali, di autorità spirituale? Potrebbe fermarsi per un limitato arco riflettendo sul suo futuro, al di là delle scempiaggini delle fiaccole invocanti paci inesistenti? Crediamo di sì, escludendone la realizzazione per il vuoto di autorevoli statisti e di autorità spirituale, questa, poi, anche come semantica, del tutto desueta.

Non si scrivono più: Veritas Ipsa, Bolla di Paolo III del 1537 in cui Indios veros homines esse si condannavano coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni. O, almeno, una Centesimus Annus di Giovanni Paolo del 1991 in cui si chiedeva di cancellare il debito dei Paesi poveri, il disarmo e il controllo delle armi.

Continueremo a vivere su un pianeta dove il motto dell’ONU: Paix, dignité   et égalité sur une planète saine, farà il paio con il seducente ma altrettanto fallimentare motto della FAO, sua Agenzia per l’alimentazione, Fiat Panis, Ci sia il Pane? Crediamo di no.

Il livello di tensione prodotto dallo stato conflittuale del mondo in questo terzo millennio e che accompagna l’inquietudine che le genti avvertono anche nella loro quotidianità, non potrà avere un lungo corso.

È il racconto dell’umanità ad indicarci che le grandi crisi esplodono o diluiscono, resta alle nostre capacità operare per la seconda affinché il Pianeta si liberi, almeno, dalla tenaglia del nucleare.

 

*direttore Società Libera