Esteri

Sudan, la democrazia dorata in crisi. Usa e Russia ci mettono lo zampino

di Enrico Verga

I retroscena sul Paese al centro del conflitto. "Le tensioni tra Russia e Usa potrebbero estremizzarlo". Parla l'esperto dell'area Marco Valentini

A partire dal 2010 -12 l’oro ha reso il Sudan uno dei più grandi produttori del Sahel, secondo solo al Ghana e al Sud Africa. Le prime scoperte significative furono in Sudan (Jebel Amir) nel 2012, seguite da altre in Chad (Batha e Tibesti) tra il 2013 e il 2016. Nel 2014 fu il turno del Niger (Djado, e Aïr) e infine nel 2016, il Mali (Kidal) e la Mauritania (Tasiast). Tutta l’area del Sahel fu pervasa da una selvaggia corsa all’oro, simile per intensità e violenza, alle corse all’oro californiane.

In Sudan, sino al 2012, il 70% circa delle riserve aurifere era gestito da due compagnie: la joint venture Ariab - creata da Canadesi egiziani e sudanesi - e una joint venture marocco-sudanese. Entrambe gestivano le operazioni in modo efficace ma poco attento alla tutela ambientale e dei diritti umani. La scoperta dell’oro a Jebel Amir fu così rilevante da movimentare oltre 100mila cercatori del Sahel non sempre scrupolosi verso la legge. Tra il 2011 e il 2014 il Sudan del nord, in particolare il Darfur, divenne la nuova El Dorado. Nel 2015 circa un milione di lavoratori e, indirettamente, altri tre, erano legati all’industria mineraria;molti dei quali non erano sudanesi.

Da ricordare che l’area del Jebel Amir, nord Darfur, venne interessata a partire dal 2013 da un’operazione “informale” di pulizia etnica per lo più gestita dagli ex pastori, ora Janjaweed. Si stima che circa 300mila civili furono massacrati dalle azioni violente perpetrate ma si ritiene fossero commissionati dall’allora capo del Sudan al-Bashir. A causa di queste azioni il Sudan subì importanti sanzioni da parte degli Stati Uniti e dagli alleati occidentali. Questa condizione di “stato non gradito” permise ai compratori d’oro stranieri di acquistare il prezioso metallo con forti sconti, per chiudere un occhio sulla condizione della Nazione. Con le sanzioni occidentali non furono solo i mercenari ad arrivare in Sudan e così con gli investimenti bloccati nel 2017 il Sudan si rivolse a Oriente. Il presidente al-Bashir fu ospite di Putin a Sochi. A seguito del meeting la Meroe Gold, una compagnia Sudanese mineraria, arruolò esperti minerari russi. Oggi il dipartimento del tesoro americano ritiene che l’azienda sudanese sia controllata da Prigozhin: dal 2020 gli Usa hanno imposto sanzioni all’azienda mineraria. 

Crisi in Sudan: da conflitto di interessi locali alle implicazioni globali

La crisi sudanese non è la prima dell’area e non sarà l’ultima. La presenza di mercenari russi è solo una conseguenza di un vuoto di potere lasciato dall’Occidente, in particolare da Usa e Francia. Da tempo ormai l’Occidente ha perso terreno e relazioni con i leader politici del continente.

Il Sudan, con i suoi giacimenti minerari e la sua eterogeneità demografica rappresenta un’area calda dei prossimi anni. Le recenti tensioni tra Russia e Usa potrebbero estremizzare quello che - in origine almeno - era un conflitto di interessi locali tra vecchi poteri militari e nuovi.