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Tik Tok, un americano alla guida: la pandemia accelera la guerra tech

Usa-Cina, è guerra anche sul digitale: il virus ha mostrato la sua crucialità

TikTok, il gigante cinese dei social media, ha assoldato per il ruolo di amministratore delegato Kevin Mayer, ex manager del colosso americano Disney. Il passaggio di Mayer è solo l’ultimo di una serie di avvicendamenti ai vertici delle società cinesi che hanno scelto top manager americani come quadri aziendali. Scelte che si iscrivono nella battaglia di posizione tra Usa e Cina per l’egemonia politica nello scacchiere del mercato digitale. “Due anni fa l’ex amministratore delegato di Google Eric Schmidt aveva predetto che Internet era alla vigilia di una frattura che l’avrebbe diviso in due: uno a guida americana, uno a guida cinese. Due anni dopo siamo già nel pieno di questa previsione”. Alessandro Aresu, direttore scientifico di Scuola di politiche, spiega ad Agi il quadro in cui si sta svolgendo questa guerra di posizione.

“Oggi abbiamo una costellazione di grandi aziende digitali che si trovano in mezzo ad una macrotendenza che vede una conflittualità crescente tra le due potenze”. Una ‘macrotendenza’ accelerata dall’emergenza coronavirus, che ha cambiato le abitudini e gli stili di vita di miliardi di persone costrette a restare in casa, svelando nuove opportunità. Di mercato e politiche. “È possibile che la crisi generata dal Covid-19 abbia accelerato questi processi. Il lockdown e la pervasività della vita digitale in questo periodo ha reso ancora più rilevanti alcuni settori, alcuni servizi che oggi di fatto hanno sancito la vittoria di diversi big della tecnologia”, continua Aresu, autore de 'Le potenze del capitalismo politico' (La nave di Teseo). Alcune società sono esplose, come il servizio di videoconferenze Zoom, società americana ma fondata dal miliardario cinese Eric Yuan, che il 6 maggio scorso ha assoldato come membro indipendente del suo consiglio di amministrazione H.R. McMaster, ex generale dell’esercito americano e consigliere alla sicurezza di Donald Trump.

“Le società cinesi stanno cercando in tutti i modi di guadagnare la fiducia del mercato occidentale, ma al contempo cercano di muoversi su un doppio binario: uno americano, con società che operano in occidente con le regole che vanno rispettate qui; uno cinese, con società che invece rispondono alle regole di Pechino. Lo fa bene TikTok, che ha una sede negli usa, mentre la holding Bytedance in Cina lavora con l’equivalente cinese di TikTok, Douyin”, argomenta Aresu. Se Internet dovesse davvero dividersi in due, la politica dei due forni di queste società le darebbe un grosso vantaggio competitivo. Una scelta che comporta sì dei rischi, ma che per Aresu hanno “ampiamente calcolato”.

“La loro è una crescita mostruosa, TikTok per esempio ha raggiunto i due miliardi di download, e la loro crescita è più veloce di quella delle regole e della politica. Loro intanto continuano la loro strategia di crescita, che porta profitti. Poi lavoreranno ai piani B, o C, quando ce ne sarà bisogno”. Chi è in vantaggio in questa gara per la supremazia del mercato digitale? “In questo momento gli Usa sembrano rincorrere la Cina soprattutto negli standard di comunicazione: Huawei ha acquisito un’influenza di primo piano nelle telecomunicazioni con il 5G. Ora in America sembrano essersi svegliati, e in maniera fragorosa. Resta comunque il loro vantaggio enorme su alcuni elementi ‘fisici’ di queste tecnologie e del digitale: semiconduttori e circuiti integrati rimangono fortemente in mano agli Usa”, spiega Aresu.

In questo quadro, l’Europa sembra essere un mercato per le due superpotenze, o poco più: “Per i top player digitali l’Europa è un’opportunità di business, ma non bisogna sottovalutare che è dal Vecchio Continente che arrivano le decisioni dell’antitrust che spesso fanno scuola - argomenta il professore di Scuola di Politiche - Il vero impatto delle regole europee sul mercato non riguarda tanto le multe, che spesso queste società possono pagare senza problemi, ma il fatto che spesso hanno effetto sul dibattito americano sul regolamento antitrust, e spingerne la rinascita. Oltre a questo, c’è poco altro”, conclude.