Esteri
Trump o Biden. A chi il merito della tregua a Gaza?
Il dibattito in Italia ma soprattutto negli Usa dove però i commentatori sono (quasi) unanimi: la tempistica è tutta pro-Trump
Trump-Biden, duello sui meriti della tregua a Gaza
La tregua a Gaza non è ancora scattata, anzi, al momento non è ancora sicura al 100% ma quello che è cominciato da quasi 48 ore è la guerra tutta interna alla Casa Bianca (di oggi e di settimana prossima) tra Biden e Trump su chi si debba mettere al petto la spilla del "pacifista". Merito dell'attuale presidente o di quello che si insedierà da lunedì prossimo? È questa la domanda del momento a Washington ma anche in Italia e tra tutti gli osservatori della situazione.
Ovviamente i due hanno cercato in tutti i modi di tirare acqua al proprio mulino; Trump sui social per primo si è preso i meriti del risultato, ricordando anche le sue dichiarazioni di settimana scorsa: "Hamas rilasci gli ostaggi o sarà l'inferno...". Joe Biden da parte sua, interpellato ieri in una dichiarazione alla Casa Bianca sulla paternità ed il merito dell'accordo ("Presidente, merito suo o di Trump?") ha risposto con un eloquente: 2Sta scherzando?". Partita aperta quindi.
Chi ha scritto l'accordo di Pace
C'è una cosa oggettiva che non va dimenticata. Il piano per la tregua che sarebbe stata accettata dalle parti in causa non è un documento di oggi, non è una cosa scritta da uomini dell'amministrazione Trump. L'accordo infatti è molto ma molto simile a quello preparato dallo staff di Joe Biden mesi e mesi fa, che il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha portato a Doha, sede delle trattative, ed in giro per i principali paesi del mondo arabo per settimane e settimane, senza successo. Anzi, ad essere onesti nei viali di Washington si dice, malignamente, che il merito sia proprio del Ministro degli Esteri Usa più che del suo Presidente.
Irina Tsukerman, politologa e responsabile del "The Washington Outsider" ci riassume con qualche dettaglio in più la situazione nella capitale Usa: "Il piano originale era quello di Biden, respinto da entrambe le parti nel maggio 2024, perché Hamas si è rifiutata di cedere sulla tempistica del ritiro di Israele e su altre questioni. Tuttavia, nella versione finale degli eventi appena approvata, hanno partecipato sia i team di Biden che quelli di Trump, con Steve Witcoff come rappresentante principale del caso di Trump. Mentre Biden ha avuto il ruolo più attivo come presidente in carica, il team di Trump ha approvato i termini e le modifiche definitive che non erano incluse nel piano originale, come le garanzie di Israele ad Hamas di non arrestare nuovamente i terroristi condannati rilasciati e l'impegno di non "perseguitare" la leadership e gli agenti di Hamas almeno per la durata del cessate il fuoco. (Non è chiaro cosa accadrà dopo che tutti gli ostaggi saranno stati rilasciati e se Israele sarà ancora vincolato da quegli impegni). Ora la tesi è che Hamas e Israele abbiano accettato queste condizioni solo per evitare di scontentare Trump, che potrebbe in qualche modo vendicarsi contro ciascuna delle due parti, ma ciò è discutibile perché in realtà Trump può fare pressione in modo efficace solo su una parte: o continuando a trattenere le armi da Israele o consentendo a Israele di attaccare Hamas con tutta la sua forza, il che richiederebbe il rilascio di queste armi. Inoltre, dal punto di vista di Israele, risolvere il conflitto di Hamas in questo momento potrebbe essere svantaggioso perché se Trump rivendica la vittoria anziché Biden, l'Iran può usare questa opportunità per affermare di non avere problemi con Trump, ritirare le sue operazioni ed evitare la promessa e tanto discussa responsabilità. A meno che Trump non sia davvero contento di lasciare che l'Iran se la cavi, con tutti i danni che ha fatto finora, e si concentri solo sull'aumento delle sanzioni, non è saggio da parte sua proclamare la vittoria".
L'accelerazione delle ultime settimane
C'è però una seconda vertià oggettiva. Il piano per mesi è rimasto sul tavolo, senza arrivare a nulla. Non convinceva soprattutto la parte dell'estrema destra israeliana che Hamas. Oggi i No si sono trasformati in Si, magari a denti stretti, ma pur sempre Si. E, a parte l'entourage di Biden, non c'è una persona negli Usa che non ammetta l'importanza del prossimo presidente.
Trump viene troppo spesso letto solo per le dichiarazioni che fa (guardate le ultime su Canada e Groenaldia) e non per i risultati soprattutto in politica internazionale. Oggi, opinionisti di certo non filo repubblicani (leggasi ad esempio la newsletter dell'Economist), hanno ammesso che le tempistiche parlano chiaro. In una maniera o nell'altra l'influenza del Tycoon è stata decisiva.
Soprattutto per convincere Netanyhau a non accettare i No dell'ala ultra ortodossa della sua maggioranza, contraria da sempre a questo accordo, ritenuto non vantaggioso. A Washington assicurano che Trump abbia garantito, in caso di "si" alla tregua con Hamas, una sorta di appoggio totale verso il premier israeliano, negli ultimi mesi in calo drastico di popolarità interna ed internazionale proprio per la mancata liberazione degli ostaggi.
Il prossimo presidente Usa aveva anche urgenza di chiudere in fretta la partita Gaza-Israele per potersi poi dedicare all'altra enorme sfida geopolitica, la guerra in Ucraina. Dovesse riuscire ad arrivare ad un accordo tra Mosca e Kiev avrebbe già dato una valenza storica unica ed indelebile al suo secondo mandato.