Esteri

Biden? In politica estera non cancella Trump. Cina, Russia, Iran: cosa cambia

di Lorenzo Lamperti

Con il nuovo presidente Pechino resterà un rivale, cambiano i metodi. Possibile un nuovo negoziato con l'Iran. Europa e Asia sorridono ma provano a fare da sole

Stessa storia, stesso posto, ma il bar è diverso. Gli anni di Donald Trump stanno per passare, ma quelli di Joe Biden non saranno del tutto diversi. In particolare per quanto riguarda la politica estera. Gli obiettivi di fondo resteranno più o meno gli stessi. Quello che cambierà, e molto, saranno i modi coi quali il presidente eletto democratico cercherà di raggiungerli. Modi che potrebbero consentire di avere più alleati nelle sfide geopolitiche che attendono Washington, anche se l'ultimo quadriennio ha convinto i partner che è meglio cercare di organizzarsi per fare da soli e non contare su degli Stati Uniti diventati imprevedibili. Biden cercherà di perseguire gli obiettivi strategici americani, parole sue, "attraverso il potere dell'esempio e non con l'esempio del potere". 

CINA RIVALE NUMERO UNO

Biden Xi Jinpingape(fonte Lapresse)

Chi si aspetta che con Biden la contesa tra Stati Uniti e Cina possa improvvisamente finire a tarallucci e vino si sbaglia. Pechino è e resterà il principale rivale geopolitico di Washington. D'altronde, è stato Barack Obama a cambiare linea sul Dragone, individuando nel contenimento della sua ascesa l'obiettivo principale sul teatro asiatico, e non solo. Fu proprio Obama a calibrare quel Pivot to Asia che altro non era che il tentativo di rafforzare i legami commerciali e diplomatici con i partner dell'Indo Pacifico per rispondere a una Cina tornata ambiziosa con Xi Jinping e la sua Belt and Road. 

Donald Trump non ha cambiato l'obiettivo, ma ha cambiato i modi, cancellando il TPP (l'accordo commerciale pilastro della strategia obamiana), ha messo in discussione tutti gli accordi commerciali e difensivi con le nazioni asiatiche, alienandosi parte dei tradizionali alleati nell'area. Alleati che hanno disperato bisogno di prevedibilità e programmazione, di confronto ma "non scontro" con la Cina. Ecco perché i paesi del Sud-est asiatico, così come le potenze medie come Giappone e India, non possono che beneficiare del ritorno, che sembra poter garantire Biden, a mosse diplomatiche meno ruvide.

Trump ha impostato lo scontro con la Cina seguendo i binari commerciali e tecnologici, meno quelli politici e ideologici. Basti pensare alla ritrosia nell'intervenire sui dossier Xinjiang e agli sperticati elogi alla leadership di Xi Jinping, che hanno poi lasciato spazio all'offensiva su quello che ha ribattezzato "virus cinese" per fini elettorali. A Pechino sperano che con Biden ci possa essere la rimozione dei dazi e il ritorno al negoziato commerciale, tanto che nel primo giorno post elezioni i titoli tecnologici cinesi sono andati molto forte in borsa. Ma non sarà così semplice resettare una relazione che Trump ha portato sull'orlo del precipizio. Senza contare che il presidente repubblicano ha ancora oltre due mesi per azioni in grado di portare i rapporti ancora di più verso il punto di non ritorno. 

EUROPA E ASIA SPERANO IN BIDEN, MA SI ATTREZZANO PER FARE DA SOLE

trump macron merkel

Dazi, anche sui prodotti europei, azioni non concertate, minacce. Ricostruire il rapporto di fiducia non sarà semplice neanche con i partner. In Europa e Asia sono in molti ad aver lamentato qualcosa, ufficialmente o meno, nei confronti di Trump. Emmanuel Macron ha dichiarato la Nato "cerebralmente morta" e ha lamentato il mancato engagement della Russia in ottica anti cinese, oltre che i dazi su alcuni prodotti francesi (a partire dal vino) e il contenzioso tra Boeing e Airbus. Altri motivi di tensione il ritiro di Trump dall'accordo di Parigi sul clima. 

Gli obiettivi di Angela Merkel sono in buona parte opposti rispetto a quelli di Washington e a livello geopolitico la Germania ha contestato gran parte delle mosse di Trump, a partire dall'accordo nucleare con l'Iran mandato al macero. Fino ad arrivare al ricollocamento in Polonia, annunciato dal tycoon nelle scorse settimane, di parte delle forze armate americane presenti sul suolo tedesco.

Ma è difficile che tutto cambi. "Possiamo sperare che la nuova amministrazione Usa avrà un atteggiamento meno aggressivo. Ma non ci facciamo illusioni: le realtà geopolitiche non cambieranno", ha non a caso dichiarato il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire, che propone, in ossequio a Macron la visione di un'Europa che agisce come un blocco. "L'Europa deve affermare la sua sovranità economica e politica in questo gioco di potenze. Se non avete accesso allo spazio, se non avete la vostra propria rete 5G, se non avete una produzione di idrogeno o di batterie elettriche dipenderemo dagli Stati Uniti e dalla Cina", ha detto Le Maire.

Lo stesso approccio che sta cercando l'Asia, come Affaritaliani ha raccontato più volte. Giappone, India, Vietnam, così come la galassia del Sud-est asiatico, non vuole essere costretta a scegliere tra Usa e Cina. Per questo, Biden o non Biden, gli attori regionali si stanno muovendo per rafforzare i legami interni all'Asia e all'Indo Pacifico (lo dimostrano i diversi accordi commerciali e militari, per esempio tra Toyko, Nuova Delhi e Canberra) in modo da poter fare anche a meno degli Stati Uniti. Taiwan spera invece che Biden mantenga una linea pro Taipei, magari rafforzando la rete di protezione asiatica e non mettendola a rischio come fatto da Trump, peraltro ritiratosi dall'Organizzazione mondiale della sanità dopo aver promesso al governo taiwanese che avrebbe cercato di lavorare per farlo riammettere.

Sì, perché il problema è più di fondo e va al di là del nome di colui che siede alla Casa Bianca. Nessuno assicura ai paesi europei e asiatici che nel 2024 non possa esserci un presidente con un approccio più trumpiano anche nei modi. Ecco perché i tradizionali partner dell'America si stanno attrezzando per poter fare (in qualche modo) da soli. Non sarà per nulla semplice. Anche se, come dimostra la chiusura da record alla borsa di Tokyo, c'è chi ha fiducia. Il Giappone per esempio, è convinto di non trovarsi più un presidente che va nella zona demilitarizzata tra le due Coree a incontrare Kim Jong-un senza preavviso. L'India invece può sorridere per la discendenza della vicepresidente Kamala Harris. 

RUSSIA E TURCHIA GELIDE: ECCO PERCHE'

Putin Trump

C'è poi un certo numero di cancellerie che non sorride. A partire da Londra, con Boris Johnson che aveva un rapporto privilegiato con Trump. Anche se, come raccontato, i rapporti interni all'anglosfera resteranno comunque saldi. I paesi di Visegrad hanno svolto un ruolo fondamentale in questi anni, con Trump che ha utilizzato lo spauracchio della minaccia russa per cementare la presa americana sull'Europa nord orientale, ottenendo in cambio dei passi indietro rilevanti sulla diffusione della tecnologia cinese in materia di 5G. Nonostante l'Europa dell'Est sembrava entrata nell'orbita di Pechino da tempo con il meccanismo 17+1. 

Russia e Turchia, con modi e per motivi diversi, hanno comunque beneficiato della presidenza Trump. Il caos sul Mediterraneo e nel Medio Oriente, unite a un disimpegno se non materiale quantomeno "ideologico" da parte degli Usa, ha favorito Mosca e Ankara, che si sono ritagliati spazi impensabili fino a qualche anno fa. Basti pensare a quanto accaduto in Siria o quanto sta accadendo in Libia, con i due ex rivali che sembrano operare spartizioni controllate di territori, ampliando le rispettive sfere di influenza.

Un ritorno all'ordine, o comunque un rafforzamento delle alleanze internazionali, potrebbe frenare questo processo. Biden potrebbe essere più duro di Trump sulla questione dei missili S-400, che la Turchia ha acquistato dalla Russia. Così come l'America potrebbe ritrovare un posto sui tavoli in cui si decide che cosa succede nel Mediterraneo, in Africa e in Medio Oriente. Con conseguente scorno di Mosca e Ankara, che negli ultimi anni erano abituate a essere i decision makers.

GLI ALTRI. IRAN E CUBA SPERANO IN NUOVI NEGOZIATI. E LA SANTA SEDE?

Ci sono poi una serie di paesi che confidano nel ritorno alle aperture dell'era obamiana. In primis l'Iran, che spera in un nuovo accordo nucleare per limitare un isolamento che ha terribili conseguenze dal punto di vista economico. Ma, anche qui, non sarà semplice resettare tutto, anche perché il prossimo anno nella Repubblica Islamica si terranno le elezione e i falchi vorranno usare la retorica anti americana per tornare al potere dopo i due mandati del moderato Rouhani.

Allo stesso modo, anche Cuba spera di poter essere protagonista di nuove aperture dalla Casa Bianca. Difficile, comunque, che ci siano scossoni sulla politica estera in riferimento all'America latina e sul dossier Venezuela, che andrà tra l'altro alle urne a dicembre, dunque prima che Biden prenda possesso dello Studio Ovale.

Possibile anche un riavvicinamento alla Santa Sede, anche se il tema dei rapporti con la Cina resterà uno snodo delicato anche durante la presidenza Biden. Di certo non assisteremo allo scontro senza precedenti andato in scena durante la recente visita del segretario di Stato Mike Pompeo a Roma, durante la quale Bergoglio si è rifiutato di riceverlo.

Ancora una volta, sulla sostanza è tutto da vedere. Ma la forma della politica estera di Biden potrebbe essere molto diversa.