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Caffè, quello italiano è il peggiore: ecco cosa c'è dentro una tazzina
L'amata "tazzulella", che si beve al bar, è spesso amara, raffazzonata e sciatta. Nessuno sa cosa ci sia dentro: né il cliente, né il barista...
Caffè, quello italiano è il peggiore: l'inchiesta
In Italia il consumo del caffè è diventato un’abitudine irrinunciabile. Anche in questo campo, purtroppo, ci sono alcuni dettagli che andrebbero indagati un po’ meglio, e molte cose non sono del tutto chiare. Come riporta Gambero Rosso, a differenza di altre icone nazionali come vino, pane o pizza, il caffè è sopravvissuto al culto della materia prima, allo scrutinio del dietologo e del gastronomo, alla glorificazione dei produttori e delle origini.
Cosa c'è dietro una tazza di caffè?
L'amata tazzulella, quella che si beve al bar, è spesso amara, raffazzonata, sciatta. L’amaro viene da una tostatura scurissima, che in un caffè buono brucia gli aromi, in uno cattivo i difetti, la crema spessa è data da una Robusta di bassa qualità.
Se vuoi aprire un bar non ti serve un particolare business, un capitale da investire e neppure un prestito in banca. Basta rivolgersi a una torrefazione: penserà a tutto lei. Ti fornirà di macchina da caffè e macinini, ma anche tazzine, lavatazze, macchina del ghiaccio, arredi e ombrelloni.
In cambio cosa chiede? Una piccola cosa: vendere il suo caffè. Pagandolo caro, anzi carissimo: fino a 30 euro al chilo o più. Ma cosa c’è in quel sacco misterioso? Nessuno lo sa. Né il cliente, che butta giù la tazzina come una medicina per stare svegli, né il barista, che vende ciò che gli viene dato. Si sa solo che la tazzina è troppo spesso amara.
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Come dicevamo, neanche il barista sa cosa vende, quale siano le percentuali di Robusta o di Arabica della miscela che usa né tanto meno da dove provenga: spesso non è indicato nel pacco. Del resto non c’è obbligo di legge. Conosce invece bene la marca che per contratto deve vendere: quella del torrefattore-finanziatore.
"Il caffè considerato buono dagli italiani è in realtà quello cattivo, con la schiuma, amaro, bruciato: questo perché i torrefattori devono far passare un difetto del loro caffè per una qualità. Dall’altro lato c’è un consumatore che si rifiuta di mettere in discussione le sue abitudini. Perché dovrebbe scoprire che il caffè a 80 centesimi è un caffè che sfrutta il barista o il coltivatore, che il caffè cattivo è amaro e ha lo schiumone. E chi gli dice il contrario lo sta truffando, come chi mette il caffè a 2 euro", afferma Davide Cobelli, torrefattore e coordinatore Sca – Specialty Coffee Association Italy- organizzazione internazionale dedita allo sviluppo e alla promozione del caffè sostenibile e di qualità.
"Cosa succederà è difficile a dirsi – dice Maurizio Giuli, direttore marketing & communications di Nuova Simonelli, produttore di macchine da caffè-. Si andrà verso una maggiore qualità della tazzina solo se il consumatore evolverà e imparerà a riconoscerla e richiederla, così i torrefattori avranno interesse a elevare il livello dei loro prodotti e a venderli a un prezzo più alto".
"Fino a che non togliamo le torrefazioni che comprano materia prima scadente, bruciano il caffè e fanno le finanziarie, la qualità del caffè in Italia non salirà", conclude Chiara Bergonzi, torrefattrice con Lot Zero e campionessa di Latte art.
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