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Critica e utopia. Da Kant a Francoforte (di Roberto Mordacci). La recensione
Nel saggio “Critica e Utopia” è discussa all’interno di una fenomenologia critica finanche una forma “critica messianica”
Critica e utopia. Da Kant a Francoforte. La recensione del libro di Roberto Mordacci
«Tracciare l’alternativa, esplorare la plausibilità di varie figure del desiderio che muovono dalla rimozione della velatura ideologica e aprono su scenari nuovi, interpretati come possibili, è un compito ineludibile per un pensiero pratico»: questo il fine che si propone di raggiungere Roberto Mordacci con il saggio “Critica e Utopia. Da Kant a Francoforte”, per i tipi di Castelvecchi. Un pensiero pratico che comprende nella complessità perfino la questione politica per la quale la “critica utopica” diventa un elemento irrinunciabile. Critica e Utopia sono dei dispositivi essenziali tra pensiero e agire dell’umano. In sostanza, sembra qui conciliarsi la dualità, nonché identità che caratterizza anche la filosofia e la politica arendtiana.
Mordacci tesse l’intero saggio costruito su basi solide e correda lo studioso, il lettore di una visione per nulla umbratile, che non lascia adito a fraintendimenti. Muove dal dispositivo critico kantiano dove «Il compito della critica è dunque quello di determinare le fonti della conoscenza a priori e, in generale, di fissare i confini entro cui la ragione si esercita legittimamente», e in particolare, «mette in chiaro che, nell’ambito pratico, vi sono princìpi originari che sono «immanenti a priori nella nostra ragione», come la “legge morale” che presuppone la possibilità di decidere, di scegliere la via più consona in virtù di una ragione avvalorata da un pensiero critico. Sottolinea l’Autore come sia importante puntualizzare «che il presupposto teleologico di questa concezione non comporti in alcun modo una visione deterministica della storia» in quanto «il modello kantiano di teleologia fonda un principio critico che si applica alle concrete forme storiche dell’azione, ma che non desume da queste ultime la propria valenza normativa, bensì ne deriva solo il contenuto contingente». Si tratta di un “progetto normativo” ripreso da Habermas e che Roberto Mordacci argomenta con le armi della filosofia denunciando gli stessi “limiti” di una “critica trascendentale”.
Procedendo per la critica dialettica con Hegel e Marx, tra possibilità e limiti, si giunge nella “critica genealogica” con Nietzsche. Questa ha la peculiarità «di svolgere un tipo caratteristico di ricostruzione storica, ovvero una ricerca sulle forze originarie che, trasformandosi nel tempo, generano le tensioni irrisolte della struttura sociale. Al contempo, essa mira a mettere in luce la necessità di una trasformazione radicale delle relazioni fra gli esseri umani e fra questi ultimi e la natura, in forza di una denuncia delle distorsioni a cui queste relazioni sono state sottoposte dalle dinamiche della modernità».
In tal senso, se Hegel individua il progressivo compiersi dello sviluppo storico dello Spirito assoluto, Nietzsche, al contrario, svela con la modernità il dilagarsi del processo di “decadenza”, sebbene non si tratti di un processo lineare, ma è una cifra che riguarda ogni periodo storico. È noto come la diagnosi nicciana abbia influenzato il pensiero del Novecento e nello specifico quello francofortese, basti pensare alla “Dialettica dell’Illuminismo” di Horkheimer e Adorno. Nel processo di decadenza è coinvolta precipuamente la cultura. La società è sopraffatta dall’industria culturale ed evidenzia Mordacci: «La cultura diviene una merce abbondante e paradossale: offerta a buon mercato, perché sorretta dalla pubblicità, ma essenzialmente ridotta a ripetizione e a imitazione coatta, anche quando pretende di essere rivoluzionaria. Così, è l’intera produzione culturale moderna a essere revocata in dubbio, ricondotta alla sua origine nel divertissement e rimandata genealogicamente alla sua origine nella separazione fra dominante e dominati, fra soggetto e oggetto».
Inoltre, nel saggio “Critica e Utopia” è discussa all’interno di una fenomenologia critica finanche una forma “critica messianica” dove si assiste a un’aspra denuncia di Walter Benjamin sul progresso e sulla concezione positivista della storia. Tra le alternative filosofiche della “Critica” significativa è la parte in cui Mordacci pone la possibilità di una rivoluzione attraverso l’apertura all’utopia e rimuovendo «la trascendenza della fuga messianica della critica». In tal modo, con una nuova possibilità di pensare si può concretamente attuare una trasformazione dell’esistente.
Nella parte conclusiva l’Autore seguendo il filo conduttore del pensiero dialogico apre un varco con gli attraversamenti della critica a “Ripensare l’utopia”. Illuminante è il processo dialettico che via via si forma nonché il “metodo utopico come critica” fino a condurre il lettore passando tra moderno e contemporaneo nella possibilità reale di rovesciare gli elementi contraddittori che possono qualificare l’utopia con il pensiero esaltando “l’immaginazione” come momento fondamentale perché si possa verificare il cambiamento in virtù del “rispetto”. È qui la sorprendente ‘verità’ di Mordacci che tenta proprio attraverso l’utopia non solo di dar voce a un disagio morale, ma di trasformare consapevolmente un “dato assetto sociale”.
“Critica e Utopia” costituisce l’identità dell’umano che deve preoccuparsi di pensare criticamente, risolvere le contraddizioni e attuare una metamorfosi concreta nella società: anche per tale motivo è necessaria la politica nella relazione e nel rispetto fra poteri. L’Utopia paradossalmente diventa - secondo l’argomentazione esplicativa del saggio nella sua dualità, nonché reciprocità conciliativa - «il tentativo di pensare il più concretamente possibile ciò che le ingiustizie attuali tengono bloccato e che chiede a gran voce di essere reso reale».