Medicina
La plastica da imballaggi alimentari causa l’obesità infantile. Lo studio
Il bisfenolo A, un componente della plastica degli imballaggi alimentari, penetra negli alimenti e nelle bevande alterando il microbioma…
Obesità infantile, c'è una minaccia invisibile ma diffusa nella plastica
L’obesità dei bambini? Potrebbe essere dovuta anche all’eccessiva diffusione delle plastiche degli imballaggi. Uno studio dell'Università spagnola di Granada ha scoperto che esiste una correlazione tra il BPA, il bisfenolo A, impiegato dagli anni 60 del secolo scorso nella produzione delle plastiche in policarbonato, e una modifica del microbioma intestinale tale da favorire un aumento di peso, almeno nei bambini.
Le plastiche da imballaggio penetrano negli alimenti e nelle bevande, quindi nelle diete degli esseri umani e dei minori con effetti ancora più profondi nel metabolismo, sottoponendolo a modificazioni.
"Abbiamo scoperto”, spiega nel comunicato stampa l'autrice senior dello studio Margarita Aguilera, PhD, microbiologa dell'Università di Granada, “che la comunità microbica intestinale risponde in modo diverso all'esposizione al BPA a seconda dell'[indice di massa corporea] dell'individuo". Ciò indica che esiste “un’intricata interazione tra il microbiota intestinale e la potenziale fisiopatologia umana derivante dall’esposizione cumulativa al BPA”. Lo studio, pubblicato su mSystems, rivista della Società americana di microbiologia, si è focalizzato sulle reti batteriche per cercare di capire se queste scompongono o meno la sostanza chimica BPA.
Contemporary Clinical Trials, che è una pubblicazione medica mensile sottoposta a peer review e copre studi clinici, spiega che “il BPA è uno xenobiotico che imita gli estrogeni” e “può disturbare il sistema endocrino. Comunemente presente nella plastica in policarbonato, nelle resine epossidiche e nella carta per stampa termica, è stato riscontrato più spesso nella saliva umana, nei capelli e nei campioni di sangue, il che suggerisce che la tossina si accumula nel corpo”.
E ancora: “Un numero crescente di studi scientifici suggerisce che le sostanze chimiche xenobiotiche possono anche causare obesità (obesogenicità) e che l’esposizione nei primi anni di vita agli xenobiotici e ad altri interferenti endocrini può avere un impatto sull’obesità infantile e su futuri problemi di salute. Inoltre, la tossina può alterare il microbioma intestinale, aumentandone alcuni comunità del microbioma intestinale”.
La ricerca, pubblicata anche su ScienceDaily, sempre della Società americana di microbiologia, racconta che siano stati trovati più batteri afferenti al BPA nei bambini obesi o in sovrappeso che nei normo peso. Il BPA è un interferente endocrino che promuove l’obesità attraverso diversi meccanismi, inclusa l’interferenza con gli ormoni che influenzano l’appetito e la sazietà.
Lo studio ha preso a campione le feci di 106 bambini e il loro microbioma batterico, esponendo per 3 giorni i batteri in coltura a differenti concentrazioni di BPA. Erano circa metà maschi e metà femmine, tutti di età compresa tra 5 e 10 anni, 60 bambini di peso normale, il resto sovrappeso o obeso.
La ricerca scrive che “il gruppo di bambini normopeso ha mostrato una rete di taxa (unità tassonomica, ndr) più arricchita, strutturata e connessa rispetto ai gruppi in sovrappeso e obesi, che potrebbe rappresentare una comunità più resiliente alle sostanze xenobiotiche. In questo senso, l'analisi della sottorete generata con i generi coltivati con BPA ha mostrato una correlazione tra la connettività dei taxa e le più diverse potenziali capacità di degradazione enzimatica del BPA”.
Tradotto in linguaggio comune: esiste una continuità nella ricerca: i bambini normo peso risultano tutti più resistenti al BPA, mentre i sovrappeso e gli obesi non lo sono.
“Comprendere il legame tra BPA, obesità e microbioma intestinale”, spiega Contemporary Clinical, “può guidare interventi e cambiamenti politici che riducono i fattori che contribuiscono al rischio di obesità infantile, come ha affermato dalla dottoressa Aguilera”.
“Vogliamo aumentare la consapevolezza sui rischi per la salute associati alle microplastiche”, ha spiegato la ricercatrice, “che entrano nel nostro corpo e su quelle che circolano nell’ambiente”. “È fondamentale che le persone siano consapevoli di queste preoccupazioni”.