Medicina

Santini, per la Fase 2 occorre ripartire dai servizi della sanità territoriale

Eduardo Cagnazzi

Il docente della Vanvitelli: "Il programma di tracciamento non è ancora partito, bisogna ripensare gli errori commessi". Il nuovo ruolo dei medici di base.

L’avvio della Fase 2 dovrà evitare soprattutto che il rischio contagio torni a diffondersi. Ma, oltre alla continuità delle misure di prevenzioni indicate, necessariamente dovrà comportare anche una nuova organizzazione sanitaria, diversa dall’attuale conferendo un nuovo ruolo ai servizi sanitari territoriali. Lo sottolinea ad Affaritaliani Luigi Santini, professore ordinario di Chirurgia generale presso l’Università Vanvitelli della Campania.

Professore, il peggio è passato? “La  fase turbolenta con l’aggressione di tipo tsunami della pandemia sembra regredire. E’ stata una fase contrassegnata dal poco tempo per riflettere, dovuta al susseguirsi degli eventi mortali, caratterizzata non solo dalla inadeguatezza dei  presidi di rianimazione e terapia intensiva, ma anche dei dispositivi di protezione individuale, una situazione che ha procurato in alcuni casi la scelta di chi soccorrere e chi abbandonare non avendo posti e mezzi a sufficienza. Tutto questo è passato. Adesso bisogna fare esperienza di quanto è successo ed attrezzarsi per la Fase 2”.

Che significa questo? “Siamo vicini alla ripartenza ma ancora non è partito il programma di tracciamento, né è iniziato un piano di tamponi di massa per una corretta indagine sulla reale diffusione della malattia a livello nazionale. Ipoteticamente, come riferisce la virologa Ilaria Capua, i contagiati potrebbero essere cinquanta/cento volte di più. E’ noto che alcuni paesi, come la Corea del Sud, hanno ridotto fino ad azzerare il contagio proprio attraverso questi provvedimenti. Ci sembra allora davvero indispensabile la loro adozione visto che da noi la mortalità è ancora attestata su trecento/quattrocento decessi al giorno”.

Allora pronti alla ripartenza. “Alla luce di queste considerazioni, se è giusto dare priorità dare inizio alla produttività del paese, uguale considerazione dev’essere fatta per il Sistema sanitario, il solo in grado di garantire un livello di sicurezza quanto più alto possibile. Vedremo il governo quali misure deciderà di mettere in campo al riguardo”.

Ma come organizzare la ripresa delle varie attività assistenziali per uscire dall’emergenza? “Una cosa è certa: non è possibile riprendere il discorso dal punto in cui è stato interrotto al sopraggiungere della pandemia. Vale a dire riaprendo tutti i servizi e gli ambulatori, servendosi esclusivamente della precauzione delle mascherine e dei guanti. Il salvagente che avrebbe dovuto rappresentare il presidio territoriale di salvataggio non ha funzionato. A tale proposito, non vanno dimenticati i troppi medici di famiglia deceduti nell’esercizio della loro funzione e anche il contagio e la diffusione in tante strutture ospedaliere. Ci si deve affidare a nuovi modelli organizzativi in grado  di proteggere sia i sanitari che i pazienti. Finora il sistema sanitario è stato troppo incentrato sulla rete ospedaliera. La medicina territoriale dovrà essere invece il primo filtro per valutare e trattare i pazienti e decidere l’eventuale passaggio successivo agli ambulatori specialistici o ai reparti ospedalieri. C’è bisogno che i medici di famiglia, indispensabili in questa opera di prevenzione e cura, siano però supportati nel monitoraggio del territorio, riorganizzando l’assistenza in modo tale da trattare a domicilio i malati cronici evitando che già in caso di sospetta riacutizzazione si possano riversare in massa al pronto soccorso ospedaliero, come accade attualmente”.                                                                      

E per la prevenzione? “In questa fase il sistema sanitario dovrebbe operare anche per una corretta prevenzione. Aprire d’emblèe tutti gli ambulatori potrebbe esporre ad una ripresa della diffusione epidemica. Solo ripensando i vari percorsi e quindi la Sanità nella sua globalità è pertanto possibile riattivare tutte le attività cliniche, con particolare riguardo verso i pazienti più fragili, i malati oncologici, i disabili, che richiedono una maggiore attenzione e cura. Solo così, è possibile avviare una ripresa efficace sulla base di un’organizzazione nuova, integrata e migliore della precedente. Basta non riproporre quegli errori che hanno contribuito a determinare una parte dei decessi che si sarebbero potute evitare”.