Milano
Ambrosoli taglia il nodo regione e va a fare il presidente BPM
di Fabio Massa
Sì, ormai è scritto. Ormai è noto. Sarà Umberto Ambrosoli il nuovo presidente della nuova BPM, nata dalla fusione con il banco popolare. E’ il terzo gruppo bancario italiano, e nella sua storia c’è di tutto. Ci sono anche gli scandali di Ponzellini, il legame ormai reciso con la Lega Nord, che non a caso - con Matteo Salvini - attacca a testa bassa l’ipotesi (ormai avviata ad essere realtà a breve) di Ambrosoli a capo della banca. Ma ci sono anche i milioni di correntisti. E - soprattutto - c’è Milano. I vecchi cultori della storia bancaria, sempre fatta di compromissioni al limite dell’etica (ma si sa, la finanza è un po’ così, e tanto per dirne una, il fascismo non fu certo una passeggiata), possono raccontare il ruolo del sindaco Antonio Beretta che spinse fin da subito l’idea di creare una banca per il territorio. E poi le riunioni, che si tenevano a Palazzo Marino. Era il tempo di lavorare e costruire, e non esisteva neppure il concetto di inopportunità politica, o di conflitto di interessi. Questa, è roba moderna. Roba nata nell’orgia del fascismo, e poi negli spericolati anni ’80, e proliferata pure negli ultimi trent’anni. E a destra, e a sinistra. Perché tutti, più o meno, avevano una banca. E chi non ce l’aveva ci provava, agognava.
Ora, proprio il tema del conflitto di interessi ha spinto Affaritaliani.it Milano per primo (con Paola Bacchiddu), e poi il Corriere della Sera (con Andrea Senesi), a sollevare il caso di Umberto Ambrosoli presidente della Popolare di Mantova e in pectore presidente della Popolare di Milano. Un caso che era un groviglio di inopportunità con il suo ruolo di consigliere regionale. Lo affermammo, e lo affermiamo. Il nodo tra la Regione Lombardia e la Bpm è tanto stretto, complesso, intessuto di finanziamenti, linee di credito e altro, che non poteva che essere tagliato con un colpo secco.
Un colpo che - almeno all’inizio - Umberto Ambrosoli non ha voluto dare. Un colpo forte. Una cosa del tipo: “Appena mi nominano mi dimetto”. Il fendente è arrivato dopo, ma sempre sfumato, più un colpo di striscio che uno dritto al cuore del problema. E’ stato preceduto, quasi un antipasto, dalle dimissioni da coordinatore del centrosinistra lombardo. Carica più che altro onorifica, possiamo anche dircelo. Adesso Ambrosoli ha sciolto il nodo semplicemente perché ha abbandonato la via della sartina, che con pazienza prova a separare un filo dall’altro, e semplicemente ha tirato un colpo di spada secco sul groviglio. Quindi, dimissioni da subito, dalla prima seduta utile, dal consiglio regionale lombardo, e un futuro da presidente di banca.
Certo, di cose da chiarire su questo nuovo ruolo e su quello che si lascia dietro, ce ne sono almeno due, in attesa che affiorino le altre. La prima riguarda la motivazione sottesa al suo atteggiamento “sfumato”, poco deciso nel dichiarare che cosa avrebbe fatto del suo futuro. Possiamo ipotizzare che avesse paura di finire cardinale pur essendo entrato Papa, o che l'operazione complessa non arrivasse in fondo. Oppure, potremmo ipotizzare non volesse agitare i suoi, cercando la successione tra i civici in modo morbido e felpato.
La seconda questione riguarda, appunto, il Patto Civico. Come ricordano quelli che si accorgono dei piccoli cambiamenti, della microchimica e microfisica del potere regionale (giacché di questa grandezza stiamo parlando), il Patto Civico con Umberto Ambrosoli sostituisce il suo terzo consigliere. Tre. Troppi. Al punto che non si capisce neppure chi dovrebbe subentrare (nb. No, non sarà Pietro Bussolati del Pd, per chi lo evoca sempre come primo dei non eletti del Partito Democratico: spetta comunque ai civici) per lo scampolo della legislatura.
Ha lasciato Lucia Castellano, una che era “l’altra testa”, assolutamente dura e assolutamente cozzante con quella di Ambrosoli, del Patto Civico. Ha lasciato Paolo Micheli, che è andato a fare il sindaco, e immaginiamo sia contento così, povero (volete mettere l’emolumento di un sindaco e quello di un consigliere regionale?) ma operativo. Ora lascia Umberto Ambrosoli. Continuerà a fare il capo politico, da lontano? Ecco come risponde nell’intervista che oggi ha rilasciato a Affaritaliani.it Milano: “Mi dedicherò esclusivamente alla realtà BPM SPA”. Chiaro, no? Chiarissimo. Addio politica. Non poteva essere altrimenti. Quale sarà il futuro del Patto Civico, è tutto da vedere, in un clima di generale disfacimento globale. Il civil servant torna nel mondo civile e torna a vivere come tutti gli altri, dopo aver finalmente, con merito, applicando il giusto retaggio e la giusta educazione che gli è stata impartita da due eroi civili, il suo papà e la sua mamma, tagliato a metà il nodo, chiarito i dubbi, dissipato le ombre. Insomma, dopo essere stato un Ambrosoli. Niente di meno di quel che chiedevamo, e tutto è bene quel che finisce bene.
Rimane un’ultima domanda. Chissà se si abituerà mai al fatto che da “consigliere”, volente o nolente, lo inizieremo a chiamare “banchiere” (Treccani: “Chi esercita l’attività bancaria, come proprietario, dirigente, amministratore, grande azionista di un’azienda di credito”). Sono pronto a giocarmi 5 euro, pardon, 10 azioni Bpm (che non ho) sul no.
@FabioAMassa
fabio.massa@affaritaliani.it
LA DICHIARAZIONE DI UMBERTO AMBROSOLI
“Una diversa responsabilità, che posso affrontare con la mia esperienza professionale e personale e che fino a ieri era un’eventualità, è da oggi destinata a concretizzarsi: a partire dal primo gennaio 2017.
Per quello che ho sempre creduto in ordine alle situazioni di conflitto di interesse, reale o apparente che sia, non aspetterò l’inizio dell’anno per rassegnare le mie dimissioni da Consigliere regionale. Lo avevo già anticipato e ovviamente lo confermo ora: da subito.
Si tratta di un impegno in un settore che, a livello europeo e non solo italiano, sta vivendo un momento di grande trasformazione che si ripercuote direttamente sulla vita di tante persone e sull’economia tutta. Lo affronterò, non senza timore, ma con fiducia.
Roberto Bruni, Michele Busi, Silvia Fossati e Daniela Mainini, con l’aiuto dei validissimi collaboratori del Gruppo Patto Civico e di Giovanni Magnoli che ne è Dirigente, continueranno in Consiglio regionale ancora per l’ultimo miglio di questa legislatura, impegnandosi a fondo e con efficacia come hanno fatto fino ad oggi”.