Milano

Calugi (Fipe): "Regione, no ad agriturismi come ristoranti"

Daniele Bonecchi

La Fipe contro la legge in discussione in Regione Lombardia: "Trasforma gli agriturismo in ristoranti". Intervista a Roberto Calugi

Calugi (Fipe): "Regione, no agriturismi come ristoranti"

La Fipe, l’organizzazione di Confcommercio che rappresenta bar, ristoranti e pubblici esercizi, presieduta da Lino Stoppani, scende sul sentiero di guerra contro la Regione. Roberto Calugi, direttore generale della Fipe critica pesantemente la legge in discussione in Regione Lombardia “perché trasforma gli agriturismo in ristoranti”, senza rispettare le regole che valgono per tutti. Una scelta che mette nell’angolo una categoria che rappresenta il fiore all’occhiello dell’ospitalità lombarda.

Come mai tanta animosità, cosa non va in questa nuova legge regionale?

“La nuova legge regionale porta da 160 a 300 i pasti giornalieri consentiti e da 60 a 120 gli ospiti degli spazi di ricezione alberghiera. E si tratta di realtà agricole che dovevano di fatto arrotondare la propria attività con una ristorazione occasionale, ma così diventano mega strutture, ristoranti a tutti gli effetti”.

E questo non è un bene per la categoria e i consumatori?

“E’ vero che ogni regione ha le proprie regole. Ma alla fine l’utilizzo che dovrebbe essere prevalente, di prodotti agricoli propri, in realtà è aleatorio. Non è pensabile che un agriturismo lombardo, che prepara 300 coperti al giorno, utilizzi l’olio, le carni e i salumi di casa propria. E’ una presa in giro”.

Cosa non va, oltre alle regole sbagliate, in questo tipo di ristorazione?

“Di fatto l’agriturismo lombardo si trasforma così in una ristorazione per i grandi eventi: matrimoni, cresime, compleanni. E questo non è nello spirito delle leggi che, originariamente, volevano permettere agli agricoltori di utilizzare e promuovere i prodotti dei loro campi. E’ diventata un’industria che fa concorrenza sleale ai ristoratori del territorio”.

Cosa avete intenzione di fare per difendervi?

“In primo luogo questa legge regionale va modificata, perché rappresenta una palese violazione della concorrenza. Le regole per chi fa ristorazione devono essere uguali per tutti. Non è accettabile che i ristoranti siano sottoposti a leggi di ferro sul rispetto delle prerogative sanitarie, sulla conservazione dei cibi, sulle caratteristiche dei servizi igienici, mentre altri, come gli agriturismo o le pizzerie al taglio e i kepab possono fare come vogliono. Occorre trasparenza”.

Ma la ristorazione sta cambiando, non pensate di andare contro la modernizzazione del sistema?

“Direi di no. Noi vogliamo soddisfare il consumatore tutelando le nostre migliori tradizioni. Mi permetto di segnalare alcuni passaggi del manifesto della Fipe che lancia un appello alle istituzioni Italiane, chiedendo che venga garantita una competizione leale nel mercato. Manifesto firmato anche da 80 chef, tra cui Claudio Sadler, Carlo Cracco e Filippo Giordano. “La cucina italiana è orgoglio degli italiani e ispirazione per gli stranieri. La nostra ristorazione vale 300mila imprese, 85 miliardi di fatturato e 43 miliardi di valore aggiunto all’anno per 1 milione di occupati. Questi risultati sono la punta di un iceberg fatto del lavoro di centinaia di migliaia di imprese che, con la loro professionalità, creatività e quotidianità, fanno la forza di questo settore, che riceve a parole grandi pacche sulle spalle, ma nei fatti rischia oggi un impoverimento senza precedenti. Ogni giorno nelle scelte politiche si incentivano settori che effettuano di fatto somministrazione, senza essere sottoposti alle stesse regole che si applicano alla ristorazione e ai pubblici esercizi in generale. E questo è il caso del quale stiamo discutendo: gli agriturismo. Ma non solo, infatti ci sono anche i circoli privati, il terzo settore, i negozi di vicinato, gli home restaurant, lo street food etc. Perché se non ti chiami “pubblico esercizio”, non importano i servizi igienici, la presenza di spazi per il personale, gli ambienti di lavorazione idonei, la maggiorazione sulla Tari e il rispetto delle normative di Pubblica Sicurezza”.

Insomma secondo voi serve più rispetto per il settore, per garantire regole uguali per tutti?

“Certamente, perché come dice il nostro manifesto: La disparità di condizioni non genera nel mercato soltanto concorrenza sleale, ma finisce per impoverire il mercato stesso nel momento in cui le attività di ristorazione chiudono, magari per reinventarsi in esercizi più semplici, dove tagliare i costi del servizio e di preparazione, con effetti immaginabili sulla qualità del prodotto, sui rischi alimentari dei consumatori, sull’occupazione del settore e l’attrattività delle nostre città. Non chiediamo meno regole: chiediamo che vengano applicate le stesse regole per la stessa professione, anche a tutela e a salvaguardia dei 10 milioni di clienti che ogni giorno frequentano i Pubblici Esercizi”.








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