Milano

Ecatombe di stellati a Milano: “Chiuderà il 25% dei ristoranti"

Il segretario degli “Ambasciatori del gusto”, chef Battisti, ad Affaritaliani.it Milano: “Senza turismo e uffici non si vive con i soli residenti della città”

Dopo la chiusura di Filippo La Mantia, “Felix Lo Basso” e Tagliente a Lume, voci parlano di difficoltà per “Carlo e Camilla” e Ristorante Trussardi. 

Di Francesco Floris

L'ultimo a cadere chef Filippo La Mantia con l'annuncio della chiusura del suo ristorante in piazza Risorgimento. Uno dei nomi di peso della ristorazione milanese che segue quello dello stellato Felix Lo Basso in Duomo saltato già a marzo. Rumors parlano di pesanti difficoltà anche per Taglienti a Lume, Carlo e Camilla aperto da Carlo Cracco sempre ai piedi della Madonnina e del Ristorante Trussardi alla Scala. Voci, per ora. Che fanno il paio con il clima che si respira fra gli addetti ai lavori. “Chiuderanno il 20-25 per cento delle attività – dice ad Affaritaliani.it Milano chef Cesare Battisti, classe 1971, dal 2009 con la sua creatura “Ratanà” nel cuore del quartiere Isola-Porta Nuova, e segretario generale dell'associazione “Ambasciatori del Gusto” -. Stiamo tornando indietro di 5 anni a una situazione pre Expo”. Quando prima dell'evento mondiale legato al food la Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe) registrava in città 2900 ristoranti a dicembre 2015 contro 5865 di dicembre 2019. Per Battisti “ Milano ha una situazione unica in Italia perché negli anni ha fatto sì il boom di turismo ma un turismo diverso: non di pellegrinaggio ma di business, di enogastronomia. Se mancano 12 milioni di turisti e ci si aggiunge lo smartworking, con i soli residenti non si può reggere. O meglio, si può, ma chi ha la forza di tapparsi il naso e andare in apnea per un anno e mezzo?”. Mancano turisti ma sopratutto gli uffici tanto che numerosi sono gli imprenditori del settore che hanno deciso di aprire solo alla sera, mancando in toto il concetto di pausa pranzo. “Intorno al Ratanà abbiamo un “buco” di 11mila persone a casa in smartworking che lavorano nelle grandi realtà del quartiere come Unicredit o Samsung e mi è stato riferito che fino al 2021 sarà così. In banca da fine settembre tornerà in ufficio il 20 per cento della forza lavoro”.

Si salvi chi può quindi? “Può andare bene a chi non ha l'affitto da pagare e le mura di proprietà, come le piccole aziende a conduzione familiare ma quando verrà rimosso il divieto di licenziamento per tante realtà e persone sarà una strage. C'è solo da sperare che l'aggressività del virus si abbassi e che le terapie intensive rimangono vuote, che non si ritorni in autunno alla situazione di questa primavera”. Aiuti? “Qualcosa adesso si sta muovendo ma la ristorazione è stata un po' dimenticata. Ora la ministra Bellanova ha dato retta ai cuochi negli ultimi due mesi. Di solito veniamo considerati artigiani anche se non lo siamo. Facciamo il 12 per cento del pil, ci sono aziende con 200 dipendenti. Gli aiuti e le garanzie al 25 per cento del fatturato sono stati erogati solo in minima parte a non più del 5 per cento dei ristoratori che ne hanno fatto richiesta. Si ha l'impressione che le banche guarderanno chi supera la crisi per dargli credito e non che i prestiti servano per superare la crisi come dovrebbe essere”. Soluzioni? “Investire nel diversificare il business e lavorare in sicurezza, io personalmente ho messo qualche soldo puntando anche sullo spritz, un social table lungo 30 metri, ogni dieci giorni faccio fare un test sierologico a tutto il personale e poi bisogna essere reattivi psicologicamente affrontando a muso duro e testa bassa la crisi. Milano e i milanesi guardano anche a questi dettagli. Le persone torneranno perché la natura dell'uomo è di essere gregario e animale sociale. Chi ha già una posizione magari sì, può lavorare da casa o dovunque voglia in giro per il mondo ma le persone normali di un ufficio che abitano in un trilocale vogliono uscire di casa”.

 

 







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