I Hate Milano

I tre grandi sconfitti del referendum: l'irriverente analisi di I Hate Milano

Il voto lombardo e veneto certifica sconfessa la politica nazionale di Salvini. Il Pd si divide come sempre. I giornali, al solito, stanno fuori dalla realtà...

Ecco i tre grandi sconfitti del referendum: l'analisi irrivente di I Hate Milano

1) Matteo Salvini

Era il 1969 quando una delle intelligenze politiche migliori che il nostro Paese abbia mai avuto – Gianfranco Miglio -  pubblicava il libro “Le contraddizioni dello Stato Unitario”, le cui tesi venivano ripetute due decenni piu’ tardi, nel “Decalogo di Assago” del 1993. Aggiungendo alle parole di Miglio una bella mano di populismo e molte parolacce, Umberto Bossi costruì la sua fortuna politica, un’epopea discutibile quanto si vuole ma che in pochi anni portò la Lega Lombarda da sconosciuta forza locale ad alleato fondamentale dei governi di Roma.

Ma con la crisi di Bossi, Salvini decise che il tempo del Nord, dei Terun e dei Ladri di Roma si era esaurito e che la Lega doveva diventare una forza nazionale e identitaria, o per dire come va di moda oggi, lepenista. Ieri la maggioranza dei  cittadini veneti e lombardi (ad eccezione di Milano, dove comunque ha votato il 25% anche se per trovare un lombardo ci vuole un cane da tartufi) ha fatto capire che della Le Pen, e dell’identità nazionale non gliene importa un accidente. Roma e’ e sara’ sempre Ladrona, Veneto Nazione tutto il resto Meridione: il senso di appartenza al Nord e’ tutt’altro che superato.

E questo tema non e’ piu’ esclusivo di una banda di montanari in libera uscita a Pontida ma ha fatto breccia in settori dell’opinione pubblica che alla grappa preferisce lo spritz, che non lavora nelle valli bergamasche ma in via Tortona a Milano. Che cos’e’ allora questa, se non una sconfessione della linea politica del segretario – che dal nome del partito ha addirittura eliminato la parola “Nord”? I folkloristici slogan dell’Umberto in canottiera, rivisati e corretti, sono ancora d’attualità, sicuramente molto di piu’ dei tetri proclami para-fascisti del Matteo, che ha passato anni a cercare, con scarso successo, di raccattare voti al Sud.

2) Il PD

E anche sul referendum sull’Autonomia, dopo referendum costituzionale, coppie di fatto, job acts, immigrazione, e qualunque altra scelta binaria la lingua italiana permetta di articolare, il PD e’ riuscito a dividersi. Beppe Sala e Giorgio Gori dicevano che avrebbero votato sì? Debora Serracchiani, governatore del Friuli Venezia Giulia, diceva che il voto era una pagliacciata, per poi dare del leghista a chi aveva votato.

Del resto, questa ormai e’ la specialita’ della casa: quando gli elettori non votano come vuoi tu, non potendo – per ora – andare a rastrellarli casa per casa, li si copre di insulti, sa mai che la prossima volta potrebbero ripensarci e votare per te. Pochi giorni fa si sono festeggiati i 10 anni del PD: a distanza di un decennio non si e’ ancora capito quale sia l’idea di Italia che il PD ha in testa. L’unica cosa certa e’ che la strategia dell’inseguimento a destra, quella del 40,8% alle Europee e del servizio su “Chi” con Renzi vestito da Fonzie, è definitivamente fallita. Tra molti decenni, gli storici proveranno a capire che cosa ci sia successo: sfoglieranno una copia di “Studio” e confrontandola con una di “Cuore” si chiederanno quale orrenda mutazione ci abbia colpito, come diavolo abbiamo fatto a credere che un ex concorrente della Ruota della Fortuna a comando di un manipolo di fighetti in camicia Coin fosse l’uomo giusto per guidare il partito di Berlinguer. Intanto la realtà va per conto suo, gli elettori hanno capito che l’originale, anche se molto usato, è sempre meglio di una copia, e sono tornati all’ovile da un pezzo.

3) I giornali

Alle grandi domande dell’esistenza – chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo –va sicuramente aggiunta una quarta: perche’ comprare ancora i giornali?

Non e’ solo la questione di aver parlato poco e male del referendum. E’ proprio la conclamata incapacità di anticipare la realtà, di raccontare un sentimento prima che si manifesti sotto forme eclatanti ad essere ormai diventata talmente imbarazzante ed evidente che uno ormai  neppure si sorprende. Da domani leggeremo quintali di Cazzullate assortite sul Nord, sul malcontento, sul deficit fiscale, e sentiti reportage dal profondo Veneto “con cui la sinistra non riesce a parlare” o con la Lombardia “locomotiva d’Italia“ che vuole l’autonomia.

Già, da domani.

Perche’ fino ad oggi i giornali erano li a raccontarci un Paese con il Fez e il Fascio Littorio, pronto a  una nuova marcia su Roma, dove la vera minaccia era il ritorno del fascismo. Del resto, quando per non perdere i priviliegi chiudi ermeticamente le redazioni, lasciando fuori dalla porta intere generazioni di giornalisti capaci di spunti e analisi di cui i vecchi tromboni ultrasessantenni non sono piu’ capaci da un pezzo, il risultato non puo’ essere che quello che vediamo ogni giorni: un discorso sulla realtà completamente scollegato dal Paese che non serve a nessuno se non a chi lo scrive.

P.S. In vista delle elezioni 2018, la situazione appare la seguente:

- Un Sud Italia a maggioranza Borbonico-Pentastellata, dove Giggino Di Maio si appresta a fare il pieno di voti pomiciando con il sangue di San Gennaro e promettendo redditi di cittadinanza senza uno straccio di copertura.
 
- Un Nord Italia completamente a destra, conteso in un derby tra un 82enne pregiudicato e Salvini dove c’è da augurarsi che vinca l’82enne pregiudicato.

- Un centro Italia dove le Regioni Rosse votano PD anche se il candidato del PD fosse Saluta Andonio.
 
Chissa’ Bettino e Giulio quante risate che si fanno a guardarci dall’alto, pensando a quando ce l’avevamo con loro...