Milano

La roulette russa dell'”Evgenij Onegin”

L'opera di Čajkovskij alla Scala diretta da Timur Zangiev per la regia di Mario Martone. Una direzione monopolare (ma coerente) per un'opera bipolare

Di Francesco Bogliari

La roulette russa dell'”Evgenij Onegin”

15 febbraio 2022, ore 19,00, Teatro alla Scala, prova d'insieme della “Dama di Picche” di Čajkovskij. Valery Gergiev, il direttore, non c'è, la sera prima è stato annullato il suo concerto con l'orchestra del Mariinskij di San Pietroburgo, ufficialmente per Covid. Sul podio c'è un ragazzone grande e grosso, aria timida e impacciata. Il comunicato stampa distribuito in teatro dice testualmente: “In attesa del ritorno del Maestro Gergiev, dirige le prove il suo giovane assistente Timur Zangiev, una delle più brillanti promesse del podio in questo repertorio”. Zangiev, russo dell’Ossezia del Nord come il suo mentore, 28 anni, è al suo debutto in Italia.

23 febbraio 2022, ore 19,45: in sala tutti si interrogano su chi salirà sul podio, dato che le voci su un’imminente invasione russa dell'Ucraina stanno ormai dilagando in tutto il mondo. E Gergiev è vicino, molto vicino a Putin. Ore 20,00: in perfetto orario Gergiev sale sul podio e dà l'attacco all'orchestra. Tre ore e 45 minuti di interruzione del flusso del tempo. Dopo aver ascoltato questa “Dama” gelida, tagliente e livida niente, per noi melomani, sarà più come prima. Appena finito lo spettacolo Gergiev corre in aeroporto, sale su aereo privato che lo sta aspettando e vola, anzi sarebbe meglio dire “fugge” verso San Pietroburgo. Nelle stesse ore i carri armati russi varcano il confine ucraino. Da allora Valery Gergiev non metterà più piede in Occidente, “licenziato” per putinismo da tutti i teatri europei e americani.

5 marzo 2022, seconda rappresentazione della “Dama di Picche”. Sul podio che ancora brucia c'è il giovane Timur: dirige con forza e intensità. Certo, non è il Maestro, però regge molto bene l'ardua prova e l’inevitabile confronto.

28 aprile 2023: il giovane Timur, che nel frattempo ha raggiunto la bella età di 29 anni, dirige la Filarmonica della Scala con fuoco ed energia: 5^ di Čajkovskij e 5^ di Shostakovic. Il vostro cronista si entusiasma: “Gergiev tira fuori il gelo, Zangiev cerca e trova la luce, facendo scaturire dall'orchestra densità e colore” e titola: “È nata una stella”.

19 febbraio - 11 marzo 2025: la Scala propone l'”Evgenij Onegin” di Ciajkovskij sotto la direzione di Zangiev. Che nel frattempo ha superato la soglia dei 30 anni, arrivando a ben 31 (compiuti il 31 gennaio). Il vostro cronista va due volte, il 5 marzo (in prima galleria centrale) e l'8 (in platea laterale) per avere due diverse esperienze visive e acustiche. Che dire? Probabilmente il ragazzone sta sedimentando le sue precoci esperienze e la sua interpretazione non è vibrante come molti avrebbero auspicato. O forse perché il benchmark – cioè Gergiev - è troppo alto, forse perché le sensibilità profonde di Maestro e allievo, nonostante anni di lavoro insieme, sono diverse.

Zangiev e l'"Onegin": una direzione monopolare per un'opera bipolare

L'“Onegin” è opera (libretto, musica) intrisa di malinconia, ma la malinconia ha tante gradazioni, si può andare dal depressivo al nevrotico, con tanti colori intermedi. Zangiev sceglie la prima strada, quella per così dire della “malinconia malinconica”: da qui tempi larghi, colori orchestrali morbidi e trasparenti, un intimismo profondo, elegiaco che traspone in musica il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato, un forte senso di solitudine (del resto cos'è quest'opera se non un'opera di solitudini? quelle di Onegin, di Lenskij, di Tatjana).

Ma l'opera è “bipolare”, ci sono anche momenti di insostenibile tensione emotiva, di passione violenta e tumultuosa: il duetto in cui il cinico Onegin “scarica” l'ingenua Tatjana, la rissa tra i due amici che darà origine al duello e soprattutto il drammatico duetto finale (pagina che potrebbe benissimo stare nella “Dama di Picche”) in cui Tatiana caccia definitivamente dalla sua vita quel disadattato di Onegin. Qui ci sarebbe voluta una bacchetta più nervosa, più febbrile, più vibrante, più incalzante. E invece Zangiev mantiene la chiave intimista anche in questi momenti.

Tutto ben diretto, ma Zangiev è “monopolare” e sceglie una sola chiave di lettura, quella elegiaca, appunto. E, nell’ambito di questa scelta stilistica, lo fa bene. Quest’anno lo aspettano la “Dama”, “Onegin” e “Iolanta” alla Staatsoper di Vienna e il debutto al Metropolitan, al Maggio, a Parma. Ormai il giovane Timur gioca stabilmente in Champions League. 

Il regista Martone cade sulla scelta della roulette russa

La regia di Mario Martone ha i suoi momenti migliori nel primo e nel terzo atto. Apre con uno scenario rurale dominato da campi di grano e dall'immenso cielo dell'estate russa (belli i video di Alessandro Papa), con al centro la stanza/cubo di Tatjana piena di libri, strumenti del suo isolamento dal resto del mondo. Chiude nel palazzo del principe Gremin, prima col total red dei magnifici tendaggi rossi dietro i quali le danze dell'alta società si proiettano come ombre cinesi, poi col total black della scena finale, dove non resta più niente che il vuoto della notte e gli abiti neri dei due protagonisti, ma le spalle scoperte di Tatjana che scompare nel buio sono un gran colpo di teatro. 

Brava qui Margherita Palli, scenografa di lungo corso ronconiano, abituata alla sottrazione. Mentre inguardabile è il secondo atto, una brutta ambientazione militare con jeep e kalashnikov. E poi la trovata della roulette russa anziché il tradizionale duello con le pistole: qui Martone vuole stupire ma va fuori strada, perché solo l'uccisione dell'amico in duello (non la morte dovuta al caso) spiega i rimorsi che tormenteranno Onegin per il resto della sua vita. 

La compagnia di canto: bene Markov e Garifullina, Ulianov l'anello debole

La compagnia di canto è complessivamente di buon livello. Onegin è il baritono Alexey Markov, già ascoltato alla Scala in altre opere del repertorio russo: bel timbro brunito chiaro, dizione scolpita, sicura presenza scenica, anche se un po' monocorde. Lensky è il tenore Dmitry Korchak, da qualche anno presenza costante al Piermarini; come ha commentato il mio vicino di poltrona, l'illustre pianista Luca Ciammarughi, “dieci anni fa aveva lo squillo, ma ora ha più profondità interpretativa (e non spinge sugli acuti)”; il suo “Kuda kuda”, aria tra le più belle mai scritte in tutta la storia della musica, è veramente molto intenso. Tatjana è la superstar internazionale Aida Garifullina, il soprano russo noto anche al pubblico non specialista per le sue esibizioni in galà e grandi manifestazioni (come le cerimonie iniziali e finali dei Mondiali di calcio del 2018): voce “piccola”, da soprano leggero, si direbbe tecnicamente, ma molto ben intonata, calda, vibrante: la “scena della lettera”, altro caposaldo della letteratura operistica di tutti i tempi, è interpretata esattamente nel senso intimistico ed elegiaco impresso da Zangiev a tutta l'opera. 

Anello debole della compagnia il basso Dmitry Ulianov, timbro aspro e sporco che rovina la grande aria di Gremin dell'ultimo atto. Validi i comprimari, soprattutto la Larina di Alisa Kolosova, ma anche la Olga di Elmina Hasan e la Njanja di Julia Gertseva. Il coro istruito da Alberto Malazzi ai soliti livelli di eccellenza.

Articolo basato sulle repliche del 5 e dell'8 marzo 2025.

Questo articolo è dedicato all'amico Giulio Artom, scomparso prematuramente pochi giorni fa. Eravamo insieme il 15 febbraio, il 23 febbraio e il 5 marzo 2022, come tante altre sere in quella che lui chiamava “la sala giochi”. Quante volte mi ha telefonato: “Ho un biglietto per stasera in sala giochi, ce la fai a venire?”. Intellettuale raffinato, melomane appassionato, professionista di valore e persona perbene. Dovunque tu sia adesso, Giulio, spero che ci sia una “sala giochi”.
 







A2A