Milano

Leoncavallo, l'infinita storia dello sgombero che non avviene mai

Dopo gli sgomberi della sede originaria nel 1989 e nel 1994, dal 2005 il centro sociale ha evitato la liberazione degli spazi di via Watteau a Milano. Ma ora, complice una sentenza della Corte d'Appello, si fanno più insistenti le voci di uno spostamento

di Federico Ughi

Leoncavallo, l'infinita storia dello sgombero che non avviene mai

Il conto aggiornato dice 131 sgomberi rinviati ad oggi. La vicenda del centro sociale Leoncavallo di Milano continua a dominare il dibattito cittadino e a dividere la politica. L'ultimo rinvio è stato deciso il 19 marzo, data dell'ennesimo mancato sgombero degli stabili di via Watteau. Tutto rinviato al 15 maggio. Ma, dato lo storico, è difficile immaginare che si possa giungere alla liberazione dei locali in tale data. All'orizzonte c'è tuttavia una possibile rilevante novità: l'associazione "Mamme del Leoncavallo" prosegue sulla strada del dialogo con l'amministrazione comunale per il trasferimento dello spazio autogestito in una struttura comunale in via San Dionigi, zona Porto di Mare di Milano. Nella cinquantenaria storia del centro sociale, due sono stati gli sgomberi effettivamente avvenuti: nel 1989 e nel 1994. In entrambi i casi per l'originaria sede di via Leoncavallo, in Casoretto. Ripercorriamo la storia.

La nascita del Leoncavallo e l'assassinio di Fausto e Iaio

Il Leoncavallo nasce  nell'ottobre del 1975 dall'occupazione di un'area dismessa di 3.600 metri quadri in via Leoncavallo 22, nel quartiere Casoretto. Rispetto ad altre esperienze analoghe, sin dall'inizio, si distingue anche per iniziative rivolte alla comunità, come la creazione di un asilo nido, una scuola materna, un doposcuola, una mensa popolare e un consultorio ginecologico. Queste e altre attività attraggono una vasta partecipazione popolare. ​Un momento chiave della storia del Leoncavallo è l'assassinio il 18 marzo 1978 dei due giovani attivisti  Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci, uccisi in un agguato fascista mentre conducevano un'inchiesta sullo spaccio di eroina nel quartiere. Questo tragico evento provoca una massiccia mobilitazione cittadina, con oltre 100mila persone che partecipano ai funerali e le madri delle vittime che fondano il gruppo "Mamme del Leoncavallo", impegnato nella lotta contro l'eroina. ​

Nel 1989 e nel 1994 i due sgomberi in via Leoncavallo

Il 16 agosto 1989, dopo quattordici anni di occupazione, il Leoncavallo subisce il primo sgombero. In una Milano semi-deserta per le vacanze estive, polizia e carabinieri circondano il centro sociale per eseguire lo sgombero. Gli occupanti oppongono una dura resistenza, salendo sui tetti e resistendo per oltre due ore nonostante l'uso massiccio di lacrimogeni da parte delle forze dell'ordine. L'intervento dei reparti speciali dei carabinieri pone fine alla resistenza, con un bilancio di 26 arresti e 55 denunce. ​

Dopo lo sgombero del 1989, il Leoncavallo viene tuttavia rioccupato e continua le sue attività fino al 1994, quando subisce un nuovo sgombero. In seguito, gli attivisti occupano temporaneamente un capannone in via Salomone, per poi stabilirsi definitivamente in via Watteau, dove il centro trova la sua sede attuale. ​

Nel 2005 lo sgombero sospeso per timori legati all'ordine pubblico

Dal 1994 in poi, il Leoncavallo affronta numerosi tentativi di sgombero, parallelamente a iniziative per la sua legalizzazione. Un nuovo sgombero è sancito nel 2003. Nel 2005 un ufficiale giudiziario si presenta per eseguire lo sgombero, ma l'operazione viene sospesa per timori legati all'ordine pubblico. Nel corso degli anni, si susseguono oltre 130 rinvii dello sfratto, evidenziando la complessità della situazione e la difficoltà nel trovare una soluzione condivisa. ​

Nel 2011, durante l'amministrazione del sindaco Giuliano Pisapia, vengono avviati tentativi di regolarizzare la posizione del centro sociale, ma senza esito definitivo. Anche l'attuale amministrazione guidata da Giuseppe Sala, manifesta l'intenzione di trovare una soluzione, ma solo nelle ultime settimane qualcosa sembra essersi mosso concretamente.

Via Watteau, il Ministero dell'Interno deve risarcire i Cabassi con tre milioni di euro

Nel frattempo, nel novembre 2024 arriva la sentenza della Corte d'Appello del Tribunale civile di Milano condanna il Ministero dell'Interno a risarcire con 3 milioni di euro i proprietari dei capannoni di via Watteau occupati dal 1994. Si tratta della Orologio Srl che fa capo alla famiglia Cabassi, proprietaria dell'area. La Corte d'Appello spiega che  "le ragioni di tutela dell’ordine pubblico non possono giustificare la mancata esecuzione del provvedimento giurisdizionale di rilascio", altrimenti "ogni volta che qualcuno si opponga all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale, il cittadino, che pure si sia attivato in sede giurisdizionale per tutelare il proprio diritto" vedrebbe questo "sacrificato a fronte della condotta delittuosa posta in essere da terzi". Il risarcimento è stato calcolato retroattivamente per i dieci anni precedenti: 303.915 euro l'anno che hanno portato alla cifra di 3.039.150 euro. Il Ministero paga la mancata messa a disposizione della forza pubblica per lo sgombero per oltre 18 anni, cioè dalla sospensione dell'intervento nel 2005. Il Ministero ha minacciato a dicembre l'intenzione di chiedere a sua volta tale somma come risarcimento all'Associazione delle mamme antifasciste del Leoncavallo.

Le nuove trattative per il trasferimento in Porto di Mare


Provocazione o meno, la sentenza della Corte d'Appello ha portato ad una accelerazione delle nuove trattative per trovare una nuova sistemazione al Leoncavallo. L'area individuata, di proprietà comunale, sarebbe in via San Dionigi, zona Porto di Mare. Il centrodestra cittadino è già sulle barricate. Ad Affaritaliani.it Milano il consigliere regionale lombardo di Fratelli d'Italia Marco Bestetti ha parlato di una "surreale  sanatoria fatta su misura".  Insomma, il futuro del centro sociale milanese appare ad oggi ancora molto incerto.

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