Milano

“Nozze di Figaro” al museo

Francesco Bogliari

La Scala riprende lo storico spettacolo di Strehler. Che cosa ha ancora da dire questo spettacolo oggi

“Nozze di Figaro” al museo

A un certo punto il vostro cronista si è chiesto: “Ma dove sono? A teatro o al museo?”, avendo già visto questo stesso spettacolo, inteso come regia, scene e costumi, nel 1982, nel 1989 e nel 2012. Il programma di sala racconta che le “Nozze di Figaro” firmate Strehler-Frigerio-Squarciapino sono andate in scena al Piermarini 72 volte nel corso di 10 stagioni a partire dal 1981. Con le 7 di quest'anno fanno 79 rappresentazioni in 43 anni. Del resto La Scala non è nuova a queste scelte: quest'anno ha riproposto ancora una volta “Bohème” di Zeffirelli che è anche più antica (1963). Il Metropolitan di New York non è da meno, con vari spettacoli firmati Zeffirelli continuamente in programma.

Il senso delle “Nozze di Figaro” di  Strehler nel 2023

Reggono ancora “Le Nozze” di Strehler? E perché continuano a essere inserite nella programmazione? La risposta alla prima domanda non è semplice: le scene di Ezio Frigerio sono ancora magnifiche, soprattutto quelle dei primi tre atti, con la profondità delle sale del palazzo illuminate dalla morbida luce obliqua che viene dai grandi finestroni sulla sinistra. Incanto. Altrettanto incantevoli i costumi di Franca Squarciapino (l'unica ancora in vita del mitico trio teatrale, moglie di Frigerio che se n’è andato poco più di un anno fa). Discorso più complicato per la regia di Strehler: ancora insuperabile per sobrietà e per la capacità di far recitare anche i sassi che gli era propria; un po’ datata invece la lettura ideologica che era figlia legittima di quegli anni, in cui tutto si interpretava in chiave politico-sociologica. Oggi forse si preferirebbe rimettere in primo piano il gioco della commedia in sé, ripartendo dalla perfezione linguistica e teatrale del prodigioso testo di Lorenzo Da Ponte.

Le “Nozze di Figaro” di Strehler riempiranno sempre la sala 

Alla seconda domanda (perché continuano a essere inserite nella programmazione?) la risposta è scontata: perché lo spettacolo riempie la sala, tutte le sere, e sempre continuerà a riempirla, perché quelli come il vostro cronista ci andranno comunque per vivere la sensazione di essere al museo, ma per tutti gli altri, la larga maggioranza (più giovani o meno esperti o spettatori occasionali o torme di turisti stranieri che dopo il Covid rappresentano la grande maggioranza del pubblico scaligero) andranno per vedere e godere uno spettacolo famoso, senza tanti snobismi. Detto questo, però, è auspicabile che un teatro come La Scala metta in programma quanto prima nuove produzioni del trittico italiano di Mozart, più in sintonia con la sensibilità dei tempi attuali: registi adeguati ce ne sono.

Cosa manca ad Andrés Orozco-Estrada per diventare grande

Sul piano musicale, Andrés Orozco-Estrada, al debutto scaligero, predilige tempi lenti che non danno il giusto rilievo al ritmo incalzante della commedia, e colori brumosi-scuri che meglio si presterebbero a un “Don Giovanni”. Qualche piccolo scollamento buca-palcoscenico, qualche momento in cui l’orchestra ha coperto troppo le voci. La scena della vestizione di Cherubino, capolavoro di erotismo sottile, è stata eseguita con fluidità, ma il momento clou dell’opera, quello in cui si dipanano tutti i nodi della storia, è stata un’occasione persa. Le due brevi pause che precedono e seguono la frase del Conte “Contessa perdono” sono più, molto più che due pause segnate in partitura: sono momenti di sospensione estatica, di riflessione sul senso stesso dell’esistenza. Qui l’interpretazione non è scritta: o ce l’hai “nel cor” o non ce l’hai. Orozco-Estrada non ce l’ha. Detto questo, è un buon direttore, ma per diventare grande deve riuscire a trovare quel quid che ancora non ha. Ci auguriamo, gli auguriamo che ci riesca.

Nozze di Figaro: buona prova dal cast vocale

Di alto livello il cast vocale, con i due protagonisti maschili (Luca Micheletti-Figaro e Ildebrando D’Arcangelo-Conte) formidabili attori prima ancora che eccellenti cantanti. Micheletti, che ha una duplice, anzi triplice vita professionale (cantante d’opera, attore di prosa e regista teatrale) ha tutto il futuro davanti; D’Arcangelo, che è un po’ più anziano del collega, 53 anni contro 38), è un tale marpione in scena e ha una voce ancora così affascinante da poter calcare le scene ancora a lungo.

Nei ruoli femminili ha brillato fra tutte Benedetta Torre nella parte di Susanna: voce limpida, luminosa, salda in tutti i registri: la ragazza non ha ancora trent’anni e anche lei ha un radioso futuro di fronte a sé, con una vocalità che le consentirà di eccellere non solo in Mozart ma anche in Verdi, Puccini, Ciaikovsky. Svetlina Stoyanova è stata un Cherubino sensibile e seducente, bella voce calda e flessuosa. La Contessa era Elsa Dreisig, che ha sostituito all’ultimo momento l’indisposta Olga Bezsmertna: la trentaduenne cantante franco-danese ha una voce ragguardevole per colore e volume, ma ha interpretato la parte con un piglio da soprano wagneriano: la Contessa richiede altra sensibilità, le due grandi arie (“Porgi amor” e “Dove sono i bei momenti”) sono state cantate senza nessuna nota sbagliata, ma prive di quella malinconica, elegiaca eleganza di cui Mozart ha intriso le note. Se Strehler fosse stato presente alle prove, e se a capo dell’orchestra ci fosse stato il Muti di allora, lavorando sulle sue indubbie doti naturali il risultato sarebbe stato diverso. Eccellenti i comprimari, con una nota speciale per la Marcellina di Rachel Frenkel e per il Bartolo di Andrea Concetti.

Comunque alla fine il vostro cronista è uscito contento dal museo, pardon dal teatro…








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