Milano
“Rusalka”, la favola disneyana di Emma Dante
L'opera di Dvořák per la prima volta alla Scala
“Rusalka”, la favola disneyana di Emma Dante
Dopo i Bagni misteriosi del Pierlombardo, un altro teatro milanese si è fatto la piscina: la Scala. Una pozza al centro del palcoscenico di “Rusalka”, opera di Antonín Dvořák approdata al Piermarini con un discreto ritardo (solo 122 anni dalla prima rappresentazione a Praga il 31 marzo 1901...). Piscina sufficientemente grande da ospitare un saggio di nuoto sincronizzato di un gruppo di ninfe in costume olimpionico rosso, un bel vedere il loro allegro e atletico sgambettare, per dire che l'elemento creativo più importante della serata è stata la coreografia di Sandro Maria Campagna, sempre e dovunque presente in ogni scena. Ovviamente in coerenza con la scenografia di Carmine Maringola e i costumi di Vanessa Sannino. Il tutto tenuto insieme dalla regia di Emma Dante.
Una Emma Dante che ha fatto la “Emma Dante”, cioè ha spinto sul registro del grottesco, del parodistico e del paradossale, risolvendo la fiaba lirica del compositore boemo in una lettura da cartoon disneyano, con colori accesi ben illuminati da Cristian Zucaro. Una via di mezzo tra “La Sirenetta” e “Alice nel paese delle meraviglie”, ma anche con qualche richiamo a “Lo cunto de li cunti” di Basile portato alcuni anni fa sul grande schermo da Matteo Garrone.
Ora, ci si potrebbe chiedere, se tutto è irrealistico e fantasioso, che bisogno c'è di inserire un elemento realistico come l'acqua vera? Non si poteva risolvere la sua presenza evocandola con giochi di luce e scene a specchio, come avevano fatto nel 2001 a Parigi Robert Carsen e Michael Levine? No, l'acqua c'era, schizzava e sgocciolava abbondantemente. La Emma Dante preferita dal vostro cronista è quella che ha fatto meno la “Emma Dante”, cioè quella sobria e austera dei “Dialogues des Carmélites” di Poulenc all'Opera di Roma dello scorso dicembre. Ma è solo una questione di gusti personali. Però, se la vera Emma Dante è questa, che Emma Dante sia, con o senza virgolette.
Riportando un po' indietro la memoria, in realtà non è la prima volta che l'acqua vera appare sulle tavole del Piermarini: c'era già stata nel “Lohengrin” di Claus Guth del 2012 , ma non era una piscina, era uno stagno con tanto di canne al vento e il supertenore Jonas Kaufmann metteva i piedi in ammollo mentre cantava il duetto d'amore del primo atto (il supremo «Das süße Lied verhallt») . Ma a JK, a quel JK, si poteva perdonare anche questa... D'altra parte “cantante fa quello che regista vuole”, parafrasando il grande esponente del pragmatismo empirico Vujadin Boškov (quello di “Rigore è quando arbitro fischia”).
Un buon cast musicale
Sul piano musicale, buona la direzione del ceco Tomáš Hanus, uno specialista di questo repertorio che proprio con “Rusalka” aveva debuttato alla Wiener Staatsoper ed è tornato a dirigerla nelle scorse settimane alla Bayerische Staatsoper di Monaco; una direzione corretta e sicura, ma non esattamente fascinosa: il più celebre brano dell'opera, la Canzone alla luna del primo atto, ci è apparsa un po' lenta e priva di quell’incanto che è la sua cifra peculiare.
Sul piano della compagnia vocale diciamo subito che i migliori ci sono apparsi i comprimari: le meravigliose tre ninfe del bosco, due soprani e un contralto dai timbri smaglianti (Hila Fahima, Juliana Grigoryan, Valentina Pluzhnikova), il guardiacaccia Jiří Rajni e lo sguattero en travesti Svetlina Stoyanova. Una segnalazione a parte per l'eccellente Jongmin Park nella parte di Vodník, lo spirito delle acque, padre di Rusalka: il giovane basso coreano è forse pronto per qualche ruolo di maggior rilievo.
Buoni ma non straordinari, a nostro parere, i protagonisti: Olga Bezsmertna nel ruolo eponimo (molto sicura negli acuti, meno negli altri registri; e comunque non è né Renée Fleming, né Kristine Opolais, né Asmik Grigorian, solo per citare le più grandi Rusalka dell’ultimo quarto di secolo) e Dmitry Korchak nei panni del Principe (più a suo agio nei momenti lirici che in quelli da heldentenor, che pure ci sono). Elena Guseva ha interpretato con energia la Principessa straniera; Okka von der Damerau, Ježibaba la strega, è tornata efficacemente a cantare da mezzosoprano dopo la recente parentesi sopranile wagneriana (Brünnhilde) di Napoli.
La musica di Dvořák
La musica, infine. Antonín Dvořák si è formato su Wagner e soprattutto su Brahms; dal primo riprende l'uso del leitmotiv (il tema della Luna torna tre volte, con varianti), dal secondo la densità, l’eleganza e la sicurezza di orchestrazione. La musica di “Rusalka” ha un che di amniotico, ti sembra di stare effettivamente dentro l'acqua, come una ninfa (o un ranocchio, fate voi), immerso, sommerso e cullato da ondate armoniche dolci, intense, ipnotiche e malinconiche. Una musica che può essere definita con un solo semplice aggettivo: bella.
Detto questo, il Dvořák migliore resta, a nostro modesto parere, quello cameristico. Ci sono alcuni quartetti – molto amati da chi scrive - in cui riesce a fondere mirabilmente i temi nazionali della sua Boemia con quelli dei nativi americani scoperti nell'esperienza statunitense di fine Ottocento e trasferiti anche in quell'immenso capolavoro “fuori categoria” che è la sinfonia “Dal nuovo mondo”.
E comunque, come commentava un amico nel foyer durante il primo intervallo, riflettiamo su una cosa: “Rusalka” è del 1901; un anno prima Puccini aveva dato al mondo “Tosca”, un anno dopo Debussy avrebbe dato al mondo “Pelléas et Mélisande”. Un vaso di coccio tra due vasi di ferro? Difficile reggere la competizione. Detto questo, lunga vita al nostro amatissimo Antonìn e grazie alla Scala per avergli finalmente reso onore.