Milano

Un “Don Carlo” magnifico... ma senza regia

Francesco Bogliari

L’opera di Verdi ha inaugurato la stagione della Scala. Interpreti musicali e cantanti straordinari. La regia: chi l'ha vista?

Un “Don Carlo” magnifico... ma senza regia

Qualcuno ha detto che la vera prima della Scala è la seconda, perché a Sant’Ambrogio tutta l’attenzione è concentrata su fattori extramusicali (il palco reale, le toilette delle signore, gli strafalcioni di Milly Carlucci che affianca l’eterno Bruno Vespa nella diretta televisiva) e gli artisti si sentono troppo sotto pressione per riuscire a dare il meglio di sé. Invece, la seconda rappresentazione di solito è quella in cui – evaporata la frenesia mediatica e mondana del 7 dicembre – tutti i tasselli dello spettacolo vanno al loro posto. È stato così anche ieri pomeriggio, domenica 10 dicembre, seconda rappresentazione del “Don Carlo” di Giuseppe Verdi che ha aperto la stagione operistica 2023-24.

Don Carlo alla Scala di Milano: le pagelle

Togliamoci subito il dente, anzi i denti: le pagelle.

Regia (Lluís Pasqual): ehi, la regia! Qualcuno ha visto la regia? Perché, c’era una regia? Ecco: voto 0 (zero, in lettere).

Scene (Daniel Bianco): brutte. Voto 4.

Luci (Pascal Mérat): brutte. Voto 4.

Movimenti coreografici (Nuria Castejòn): vale lo stesso discorso della regia (movimenti coregrafici? Perché, c’erano dei movimenti coreografici?). Voto 0 (zero).

Costumi (Franca Squarciapino): questi sì veramente belli. Sarebbe un 9 ma le diamo 8 perché vestire il Grande Inquisitore da cardinale è un errore storico…

Direzione d’orchestra (Riccardo Chailly): 9.

Orchestra: 9.

Coro (istruito da Alberto Malazzi): 9.

Compagna di canto (personaggi principali):

Michele Pertusi (Filippo II), basso: 8,5;

Francesco Meli (Don Carlo), tenore: 8;

Luca Salsi (Rodrigo, marchese di Posa), baritono: 8;

Anna Netrebko (Elisabetta di Valois), soprano: 8,5;

Elīna Garanča (la principessa d’Eboli), mezzosoprano: 8,5;

Jongmin Park (sia Un frate sia Il Grande Inquisitore), basso: 7,5.

Dai voti in pagella avrete capito subito che si è trattato di un grande spettacolo dal punto di vista musicale, ma scadente da quello registico. Partiamo da quest’ultimo. Cantanti statici, masse statiche, nei duetti (il cuore di quest’opera) i solisti fermi in posizione fissa, quasi nessuna interazione tra loro, neanche a livello di sguardi.

Perchè la Scala è così poco coraggiosa nelle scelte registiche?

E sì che “Don Carlo” è opera di grandi passioni, personali e politiche, e dovrebbe suscitare altrettanto grandi emozioni nello spettatore. Scena basata su una struttura rotante, che qualcuno ha paragonato al gasometro della Magliana, e che certo semplifica e razionalizza la macchina scenica, ma rende il tutto freddo e piatto. Belli, di austera raffinatezza, i costumi di Franca Squarciapino, ma neanche loro riescono a portare alla sufficienza la media della parte registica. Tanto valeva, a questo punto, fare un’esecuzione in forma di concerto, con i cantanti in piedi dietro ai leggii. Fermi per fermi… Quello che sconcerta è che un teatro come la Scala sia così timoroso nelle scelte registiche. Forse per non turbare un pubblico ormai per la grande maggioranza costituito da danarosi turisti stranieri, per i quali la serata al Piermarini fa parte delle “esperienze” da vivere nella visita alla città, qualunque cosa venga rappresentata e chiunque sia sul palcoscenico quella sera. Negli stessi giorni a Roma, a Napoli e a Venezia si è osato di più, in certi casi molto di più, magari con risultati discutibili o sconcertanti, ma almeno si è provato a uscire dalla piattezza di proposte anonime come questa.

Chailly, una direzione musicale straordinaria

Le consolazioni – e che consolazioni – arrivano invece dalla parte musicale. Chi scrive non è mai stato un particolare fan di Riccardo Chailly: apprezzato, certo, ma mai veramente amato. E invece ieri il maestro milanese è stato protagonista di una direzione straordinaria, frutto di un’altrettanto straordinaria concertazione. “Don Carlo” è opera densa, complessa e Chailly è riuscito a dare alla compagine scaligera un meraviglioso colore insieme scuro e luminoso, plumbeo e terso, profondo e lieve. La struttura della partitura è apparsa chiarissima all’ascoltatore, tutte le parti e i singoli strumenti sono emersi in maniera esemplare: si vedeva l’intera foresta distinguendo allo stesso tempo i singoli alberi. Una menzione particolare per i violoncelli, strumenti che danno a “Don Carlo” il colore ambrato e il timbro profondo che ne rappresentano la peculiarità. Ma anche per i fiati, in particolare per quelli scuri, soprattutto i tromboni.

Insieme all’orchestra, il coro, anzi Il Coro (in maiuscolo anche l’articolo), istruito da Alberto Malazzi, erede del grande Bruno Casoni. Semplicemente straordinario: e lo è tutte le volte, indipendentemente dal direttore d’orchestra. È patrimonio dell’Umanità: Unesco, stiamo aspettando!

Le performance di Pertusi, Meli, Salsi e Park

La compagnia di canto è quanto di meglio si potesse mettere insieme (e qui la Scala continua a fare il suo mestiere di attrattore dei migliori talenti). Iniziamo con le voci maschili: Michele Pertusi, Francesco Meli e Luca Salsi hanno tutti e tre la “parola scenica” che chiedeva Verdi e sono eccellenti attori (nonostante stavolta non ci fosse un regista a guidarli), oltre che ottimi cantanti. Quanto a Francesco Meli, il vostro cronista può dire la stessa cosa detta a proposito di Chailly: ascoltato tante volte dal vivo, sempre apprezzato ma mai veramente amato. Ieri il tenore genovese ha sfoggiato, oltre alla sua ben nota eleganza, una passione e un’energia straordinarie, un’emissione morbida, calda e salda che ha funzionato anche negli acuti, a differenza della “prima” (almeno per quanto sentito in tv). Probabilmente Carlo Bergonzi non si è rivoltato nella tomba…

Sempre rispetto alla prima, ancora più evidente il miglioramento della prestazione di Michele Pertusi, che il 7 dicembre non era stato bene (come dichiarato pubblicamente dal sovrintendente prima dell’inizio del terzo atto). Il basso parmigiano non dispone di uno strumento vocale particolarmente possente, non è un “grande basso” alla Ghiaurov o alla Pape per intendersi, ha una voce meno roboante che gli consente maggiore morbidezza, accompagnata ed esaltata da una dizione perfetta, oltre che da una naturale regalità di recitazione e portamento. Filippo II è un’autentica carogna, e Pertusi è riuscito a rendere nobile anche questa ignobile carogna. Una prestazione artistica di livello superiore.

Luca Salsi è uno dei pochi autentici baritoni verdiani in circolazione, ha uno strumento vocale generoso, ricco, caldo. Ha anche una fisicità molto intensa e sa trasmettere al pubblico una fortissima empatia. Gli manca solo quel quid di aristocrazia che richiederebbe una parte come quella di Posa; forse dovrebbe ristudiare l’interpretazione di Dietrich Fischer-Dieskau nella storica edizione di George Solti.

Infine Jongmin Park, il giovane coreano che da alcuni anni calca con regolarità il palcoscenico del Piermarini in parti “minori” da basso profondo. Avrebbe dovuto interpretare solo la parte del frate, ma il forfait improvviso del designato Ain Anger lo ha catapultato nella doppia parte: frate all’inizio e Grande Inquisitore alla fine. Qui ha sostenuto l’impervio duetto con Filipppo II, la cosa più anticlericale mai scritta dall’anticlericale Verdi, una durissima lite tra i due poteri forti che termina con la vittoria del rappresentante della Chiesa: “Dunque il trono piegar dovrà sempre all’altare!”. Se Filippo II è una carogna, figuratevi cos’è il Grande Inquisitore… Park, che ha buoni acuti e buoni centri, se l’è cavata bene nonostante qualche precarietà nelle note più basse: molto più che sufficiente.

Netrebko e Garanca: due pantere da palcoscenico

E veniamo alle protagoniste femminili, due autentiche pantere da palcoscenico. Anna Netrebko: la sua voce è un fiume lavico caldissimo, anzi incandescente. Un carisma naturale, istintivo, da primadonna d’altri tempi, alimentato anche dalla sua eccentricità al di fuori del palcoscenico. Incontenibile quando decide di dare tutta se stessa come domenica pomeriggio, dà tutta se stessa, elettrizzando il pubblico. Memorabile il “Tu che le vanità” dell’ultimo atto. Ma anche per il soprano russo vale il discorso fatto per Salsi: a volte le manca l’eleganza aristocratica che certi personaggi richiederebbero. Elisabetta di Valois non è una donna combattente e sanguigna come Floria Tosca, certi passaggi richiederebbero maggior controllo. Ma che ci volete, che ci vogliamo fare: Annuska è così, e così ce la teniamo (e così ci piace tenerla).

Anna NetrebkoAnna Netrebko
 

Poi la lettone Elīna Garanča, il mezzosoprano più applaudito del momento (la sua Carmen è quella di riferimento degli ultimi anni, ma sono leggendari anche i suoi Octavian e Cherubino ed eccelle pure nel repertorio liederistico, da Schumann a Brahms, a Mahler). Dotata di uno strumento vocale di straordinaria ricchezza e potenza, è anche la più bella del reame, se proprio vogliamo dirla tutta. Il suo personaggio entra tre volte in scena: la prima è la Canzone del velo, cantata non con la agilità e la leggerezza che sarebbero richieste. Poi la principessa d’Eboli diventa un demonio nel secondo atto, quando scopre che Carlo non ama lei ma la regina. Il povero Carlo cerca di ammansirla: “Noi facemmo ambedue un sogno strano in notte sì gentil, tra il profumo dei fior…”, ma lei lo sbrana e minaccia la vendetta, che metterà in atto di lì a poco (“Io son la tigre al cor ferita, alla vendetta l’offesa invita”). Qui è superba, Elīna fa la Garanča con tutti gli accessori. E infine, nel terzo atto, l’apoteosi del “Don fatale”: c’è disperazione, tormento, desiderio di redenzione; la voce tocca tutti i registri e l’aristocratica, algida Elina (in questo così diversa da Anna) regala al pubblico un’interpretazione superba premiata con un lunghissimo applauso a scena aperta.

Elina GarancaElīna Garanča
 

Infine, quelli che vengono definiti comprimari: sono di solito interventi brevissimi e spesso non vengono nemmeno citati nei resoconti. Invece questo “Don Carlo” scaligero ci fa scoprire una stupenda Voce dal Cielo (Rosalia Cid), un eccellente Carlo V (Huanhong Li) e sei meravigliose giovani voci di allievi dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala nella parte dei deputati fiamminghi. Bravi anche il paggio Tebaldo (Elisa Verzier) e il conte di Lerna/araldo reale (Jinxu Xiahou).

Don Carlo: ora e sempre Viva Verdi!

Che dire? Un “Don Carlo” superbo musicalmente nonostante non abbia avuto regia.

E se fosse stato così proprio perché non c’era una regia a “disturbare” la musica? Dio mi perdoni questa frase dal sen fuggita, riportata perché sentita più volte nei capannelli del foyer durante gli intervalli. Ecco, il vostro cronista non la pensa così, ma sono in tanti a pensarla così...

Ma infine, sopra tutto e prima di tutto, la straordinaria bellezza di questo immenso capolavoro. E la immensa grandezza di Giuseppe Padre Nostro. Ora e sempre, nei secoli dei secoli (amen), Viva Verdi!








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