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Auto e Motori
Citroen 2CV, settant'anni e non sentirli

Un bel giorno dell’anno 1936, sul tavolo che fu di André Citroën fu depositata una corposa cartella arrivata per posta espressa da Clermont-Ferrand. Il faldone indirizzato a Pierre-Jules Boulanger conteneva i risultati di un’indagine di mercato commissionata dai Michelin e dallo stesso Boulanger: qual era l’auto che il pubblico francese desiderava di più? Quanti cilindri? Quante portiere? Quante ruote?

La prima domanda dell’indagine condotta in tutta la Francia, aree urbane e rurali incluse, era “possiedi già un’automobile?” La maggior parte delle risposte fu, ovviamente, NO, risposte che provenivano prevalentemente dalla Francia contadina. Persone certamente non agiate che avevano necessità di un’auto economica nell’acquisto e nella gestione, che potesse trasportare tutto come il caro vecchio carro trainato da cavalli, che fosse capace di andare dappertutto. Boulanger dettò alla sua segretaria una lettera indirizzata al signor Brogly, al tempo a capo del centro studi Citroën: “Fate studiare nel vostro reparto una vettura che possa trasportare due contadini con gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino ad una velocità massima di sessanta chilometri orari con un consumo di tre litri per cento chilometri”.

Citroen C2 settanta anni video

In questa descrizione c’è già tutta la 2CV, ma Boulanger precisò che l’auto doveva essere in grado di percorrere le strade più difficili - anche un campo arato - con un paniere di uova a bordo senza che se ne rompesse uno, che doveva costare al massimo un terzo della Traction 11 (il modello più venduto), che doveva essere guidata in sicurezza anche da una contadina neopatentata. L’estetica? Beh ...non aveva alcuna importanza. Brogly, perplesso, posò il foglio sulla scrivania di André Lefebvre, l’ingegnere “padre” della Traction, dicendo “questi sono pazzi: è un capitolato impossibile”. Lefebvre, invece, accettò la sfida e scrisse le tre lettere che avrebbero definito il nome della nuova vettura da lì al momento del lancio: T. P. V., ossia Toute Petite Voiture, auto molto piccola.

La gestazione della 2CV, complice la seconda guerra mondiale, durò più o meno dodici anni. Nel 1939 erano già pronti circa 250 prototipi. Finita la guerra, Boulanger comprese che, benché il panorama fosse cambiato, l’esigenza di una vettura economica e pratica fosse più forte che mai. Allora incaricò Flaminio Bertoni di rivedere l’estetica della T.P.V., trasformandola nella 2CV che conosciamo. Molte delle soluzioni fantasiose escogitate dai progettisti per abbassare il costo della vettura furono ritenute inadatte al pubblico della fine degli anni ’40. Così sparirono: l’avviamento a manovella o quello a corda, come nei piccoli motori fuoribordo; il singolo faro anteriore; il cambio a tre marce, ma solo quando con un escamotage i tecnici persuasero Boulanger che la quarta marcia era una “surmoltiplica” della terza. Secondo “Père Boule”, infatti, l’auto doveva restare semplice e le tre marce del cambio d’anteguerra erano più che sufficienti.

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Intervista a Elena Fumagalli, responsabile comunicazione Citroen Italia

Del prototipo T.P.V., sulla vettura di serie rimase una curiosa caratteristica che accomuna tutte le 2CV costruite dal 1948 al 1990: i curiosi finestrini anteriori, la cui metà inferiore si ribalta verso l’alto. Erano stati pensati così prima della guerra per consentire al conducente di segnalare il cambio di direzione mettendo il braccio fuori dal finestrino. Il 6 ottobre del 1948, mentre gli “esperti” ridevano della nuova 2CV apparsa a sorpresa sullo stand Citroën al Salone dell’Automobile di Parigi, decine di migliaia di aspiranti automobilisti affollavano i Concessionari del Double Chevron per prenotare una 2CV. Il successo della Lumaca di Latta, come la vettura fu ribattezzata dai francesi, era solo all’inizio e presto fu necessario misurare in anni la lunghezza della lista d’attesa per averne una.

Grigie, con un motore di 375 cc che permetteva di raggiungere i 60 orari consumando quei fatidici tre litri per cento chilometri, le prime 2CV comparvero nel ‘49 lungo le strade di Francia. La priorità fu data a chi non poteva permettersi altra auto: piccoli coltivatori, curati di campagna, insegnanti, medici condotti, ma anche fornai e piccoli artigiani, per i quali pochi anni dopo arrivò la versione da lavoro: la AU, capace di trasportare due persone e ben 250 chili di merci nella spaziosa parte posteriore furgonata. Poi, pian piano, le prestazioni della 2CV crebbero grazie all’adozione di nuovi motori più potenti, sempre a due cilindri contrapposti e raffreddati ad aria: prima un 425 cc, poi 602 cc. Da 12 a 35 cavalli, da 60 a quasi 120 orari.

Nel frattempo, la 2CV era diventata la base di un’intera gamma di modelli che ne riprendevano telaio e architettura della meccanica: l’AMI6 nel 1961, poi la Dyane nel 1967, la Méhari l’anno successivo e l’AMI8 nel ‘69. Nel 1960 Citroën aveva stupito il mondo (una volta in più) presentando una 2CV con... due motori. Una soluzione geniale quanto semplice per realizzare un fuoristrada con quattro ruote motrici pur avendo a disposizione solo 18 cavalli.

La 2CV 4x4, ufficiosamente battezzata “Sahara”, fu la risposta Citroën alle esigenze della Total che andava ad esplorare i campi petroliferi del Nord Africa, del corpo forestale francese, delle Poste che dovevano consegnare la corrispondenza alle sperdute frazioni di montagna e perfino dei reali del Belgio, che ne commissionarono una nel 1971, a produzione finita, che fu costruita in Olanda. Era la 695esima Sahara. Con gli anni, le vendite iniziarono a diminuire: Citroën pensava di rimpiazzarla con la Dyane, ma la simpatia e la personalità della Deuche (altro soprannome della 2CV) erano così forti che la piccola restò in produzione anche quando finì quella della Dyane.

L’ultima 2CV uscì dalle catene di montaggio della fabbrica portoghese Citroën di Mangualde il 27 luglio 1990. Le cifre ufficiali parlano di 3.868.634 esemplari prodotti, ma se si considerano anche le derivate, il totale supera agevolmente i cinque milioni di pezzi. La 2CV usciva dalla linea di montaggio per entrare dritta dritta nella leggenda, con gli ultimi esemplari nuovi conservati intonsi in centinaia di garage in giro per il mondo, mai immatricolati, con raduni oceanici, con appassionati che in tutto il mondo la amano al punto di considerarla un membro della famiglia, personalizzandola, modificandola con portabagagli, fioriere o poltrone da salotto al posto dei sedili di serie.

Nata per trasportare due contadini, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino, la piccola, grandissima 2CV ha fatto tutto ciò che doveva e molto di più: ha girato il mondo innumerevoli volte, ha popolato e colorato i sogni di generazioni di proprietari, è stata un nido d’amore, un veicolo da lavoro, ha attraversato deserti e mille altre cose ancora. Aveva ragione Wolgensinger: la 2CV è durata settant’anni e ne durerà altri trecento. È qualcosa di mitico e inarrivabile, pur rimanendo un attrezzo domestico semplice ed efficace. Ancora oggi, migliaia di appassionati la collezionano e ne fanno il simbolo del loro stile di vita.

A settant’anni di distanza ritroviamo lo stesso spirito, la stessa gioia di vivere, l’audacia e la creatività nei valori che fanno parte del DNA del Marchio. Il marchio Citroën è da sempre impegnato nella ricerca e nella diffusione su larga scala di soluzioni innovative, per migliorare la vita di tutti in auto. Da quasi 100 anni, Citroën accompagna le evoluzioni della società e si impone come marchio popolare, nel senso più nobile del termine: un marchio che si ispira essenzialmente alle persone e al loro stile di vita. Un approccio da “people minded brand” che si concretizza con la nuova firma di marca “INSPIRED BY YOU”.

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