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Pablo Iglesias lascia Podemos, ma anche la politica? Tramonto di un leader

di Alessandro Grandi

Dopo la sconfitta elettorale, forse tornerà a insegnare. Le sue opinioni verranno sempre prese in considerazione, ma la sua leadership era logora

Podemos, finisce l'era di Pablo Iglesias: è un segnale anche per l'asse M5S-centrosinistra, che guardava con interesse ai "cugini" spagnoli

Pablo Iglesias ha detto stop. Come il Big Ben di Portobello che sanciva la fine di una parte della trasmissione di Enzo Tortora. Il leader di Podemos dopo la sconfitta elettorale nelle elezioni tenutesi nella Comunità di Madrid, chiude e se ne va.

Basta con la politica, basta con le polemiche. Tornerà, forse a fare il professore. Oppure si ritaglierà un ruolo televisivo in qualche talk show. Di fatto non lo vedremo più alla guida della sinistra dura e pura spagnola.

Ma siamo sicuri che accadrà veramente? C'è chi giura che non sarà così. Se da una parte Iglesias ha lasciato guida di Podemos e seggio, dall'altra sarà molto difficile che si ritiri davvero a vita privata. Resterà molto probabilmente nella politica, magari come grande anima suprema. Le sue opinioni hanno contato, contano e conteranno ancora per molto tempo, all'interno dello schieramento sociale più vicino al terzomondismo, quello che una volta era il mondo no global. Anche se non avrà alcun seggio, ruolo di partito e così via.

Più di ogni altro Iglesias ha capito che la sconfitta di Madrid, arrivata anche dopo una campagna elettorale all'insegna degli attacchi personali nei suoi confronti, chiude un'epoca. L'epoca della sinistra popolare, quella operaia dei quartieri periferici.

Quella delle manifestazioni per i diritti. Quella di "un mondo migliore è possibile". La sinistra del siamo tutti uguali e abbiamo tutti uguali diritti ormai non esiste più. Nemmeno in Spagna dove aveva avuto negli anni scorsi un buon seguito. Dovrà inventarsi qualcosa di nuovo e di più moderno per tentare una risalita che ad oggi sembra utopia.

Iglesias così come è arrivato se ne è andato. E' durato pochi anni. Logorato dalla politica attiva, ma anche dal fuoco incrociato che, come in tutte le formazioni di sinistra che si rispettino, ha finito per sgretolare il partito. Quasi da subito, infatti, la sua leadership era stata messa in discussione dall'interno. Invidiata, forse. Sicuramente non aiutata dalle continue tensioni con l'altra sinistra, quella del Psoe. Ma da subito e poi sempre considerata autoritaria.

Poi c'è l'aspetto caratteriale di un uomo. Sembra che questi pochi anni nelle istituzioni il suo si sia particolarmente logorato. Forse, nonostante non possa sembrare, non riesce a gestire le pressioni. Forse l'anno da vicepremier l'ha stancato psicologicamente. Forse, invece, ha capito che iniziare nei giovani comunisti e poi fondare un movimento è una cosa, gestire la politica nazionale un'altra.

Troppe responsabilità, tanti agguati politici e anche tante perdite. E tante delusioni, qualcuna personale. Essere stato abbandonato strada facendo da chi considerava sodale di ferro, come ad esempio Íñigo Errejón, non deve essere stato facile da digerire. Vederlo al successo politico (con Mas Madrid, distaccamento di Mas Pais) proprio a scapito suo, poi, può aver minato la sua autoconvinzione di diventare il futuro della Spagna.

Comunque, non si può credere che l'abbandono di Iglesias sia una decisione dell'ultimo minuto e solo per i risultati di Madrid, anche perché ha guadagnato tre seggi e in ogni caso era consapevole che non avrebbe mai vinto. Un certo tipo di politica a Madrid non vince.

La capitale spagnola è da trent'anni in mano al centrodestra. Quindi ci si chiede e la sua decisione fosse già in cantiere. L'unica certezza, però, è quella che non lo vedremo attivo per qualche tempo. Perché quando il Big Ben dice stop parte della trasmissione si ferma.