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Politica
Bonaccini e Schlein? Il vero leader è Majorino: il Pd rinasce dalla Lombardia

Elezioni Lombardia 2023, Majorino aggancia Conte e sfida Fontana e Moratti

Ma quale Schlein e Bonaccini? E' a Milano che - zitto zitto - sta venendo fuori il vero leader del Pd. Dopo la rottura politica sotto l’ombrellone sulla fantomatica "agenda Draghi" e il conseguente crollo del governo, Dem e 5 Stelle sono a un passo dall'accordo per l'alleanza alle prossime elezioni regionali di febbraio in Lombardia. Un'intesa che fino a qualche settimana fa sembrava impossibile. Il tutto accade dietro a un candidato serio, pulito e autorevole come Pierfrancesco Majorino che è riuscito a convincere Conte e i 5 Stelle a mettersi insieme per sfidare il presidente uscente Attilio Fontana e l’altra candidata, Letizia Moratti, sostenuta da Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Europarlamentare eletto con i socialisti europei, con un passato da consigliere comunale a Milano e poi assessore alle Politiche sociali con Giuliano Pisapia prima, e Giuseppe Sala poi, Majorino è un “uomo della ditta” che ha il Pd dentro. Un uomo di apparato, ma indipendente e, allo stesso tempo, conoscitore profondo del territorio. Vicino al fondatore del partito Walter Veltroni, nonchè membro dello staff della ministra per la Sanità Livia Turco nel secondo governo Prodi, insieme a Vinicio Peluffo, anche lui uomo di Veltroni (in Rai), rappresentava la sinistra milanese a Roma. Uno che ai tempi della segreteria Renzi non ha seguito le uscite dei vari Civati ma è rimasto a fare la "battaglia da dentro", sfidando lo scetticismo di chi ha scelto altre strade. Che non hanno portato lontano.

La sua corsa alla candidatura per le elezioni in Lombardia è iniziata con la polemica interna “primarie sì/primarie no”, con l’altro Pierfrancesco del Pd milanese: Maran, assessore alla Casa nella giunta Sala, che spingeva per la consultazione della base. L’ha avuta vinta Majorino, senza, però, farsi calare dall’alto come qualcuno può pensare. Lo sfidante di Fontana e Moratti viene dal basso e la sfida delle preferenze l'avrebbe accettata eccome, se non fosse stato per i tempi stretti e i rischi (per non dire certezze) di lacerare un partito già sofferente. Majorino rappresenta la sinistra milanese del dopolavoro, quella delle bocciofile e del terzo settore, vicino ai ceti meno abbienti, è legato al mondo che fa riferimento a Don Virginio Colmegna (fondatore della Casa della Carità) e ha eccezionali rapporti con il welfare ambrosiano che, a prescindere dall'orientamento politico, gli riconosce un impegno che viene da lontano.

Majorino non è Stefano Bonaccini, un po’ ‘de sinistra e un po’ “renziano”, o Elly Schlein, che deve (ri)guadagnarsi il Pd dopo esserne uscita anni fa. Majorino è il Pd. Molto amato dalla base. Vero underdog della sinistra, uomo di popolo che ha mantenuto negli anni la sua radicalità riformista.

Con grande attenzione anche al mondo della cultura (Majorino sognava di avere quella delega nelle sue esperienze da assessore, ma non è mai riuscito a ricoprire quel ruolo), vicino all’attore e scrittore ebraico Moni Ovadia a dell’attrice teatrale Lella Costa, ma anche al cantautore Roberto Vecchioni.

Majorino e i 5 Stelle di Conte (in risalita nei sondaggi) possono vincere in Lombardia e scardinare il sistema di potere trentennale del Centrodestra nella regione più ricca d’Italia. Quantomeno, già oggi può dire di aver riaperto la partita delle regionali lombarde, per la prima volta nell'ultimo trentennio. E lo sta facendo con continuità rispetto a un percorso di contestazione di Regione Lombardia iniziato già nella prima ondata del Covid-19, quando scrisse "La Resa - Per amore della Lombardia, capire il disastro per guarirne le ferite" insieme a Lorenzo Zacchetti, oggi vicedirettore di affaritaliani.it, un titolo che, visto oggi, sembra davvero profetico. La scorsa settimana Majorino ha incontrato Giulio Gallera nel corso di "Piazzapulita" su La7: una sorta di deja-vu, perché si dice che proprio quel libro fu determinante nel siluramento dell'allora assessore al welfare di Fontana. E, a giudicare dai toni ancora accesi del loro scontro, non sembrano mere illazioni.

Una vittoria nel feudo di Salvini e Berlusconi costringerebbe i gruppi dirigenti di Pd e M5s a stare insieme, oltre la Lombardia, ricostituendo un polo unitario di Centrosinistra in grado di competere con il più strutturato Centrodestra per un’alternanza di governo nazionale sana e fruttuosa per il Paese. Non a caso, già oggi Angelo Bonelli dei Verdi esorta il M5S a utilizzare il "modello Majorino" anche nel Lazio, dando respiro nazionale a una strategia che Enrico Letta ha archiviato, con pessimi risultati. E quel punto, pur non essendo candidato a un congresso i cui meccanismi stanno lasciando perplessi gli stessi elettori del Pd, il vero leader ipso facto non sarebbe tanto il prescelto dalle primarie, bensì chi avrà saputo conquistare sul campo la propria legittimazione.

Una curiosità che a noi di affaritaliani.it fa piacere ricordare. Majorino nel 2008 curava una rubrica dal titolo “Senza Letizia”, proprio in contrapposizione dell’allora sindaca di Milano, Letizia Moratti. E faceva da contraltare, sempre su queste pagine, l’allora europarlamentare Matteo Salvini che difendeva la prima cittadina e scriveva nella rubrica “Con Letizia”. Lo spirito era - come sempre - quello della massima apertura a ogni idea, che da sempre caratterizza il nostro giornale. Proprio perchè lo conosciamo bene, crediamo che Majorino sia l’uomo che può salvare e rilanciare il moribondo Pd che, suo malgrado, in Lombardia ha pescato bene.

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