Politica

Bruno Contrada parla ai microfoni di Radio Radicale

Giuseppe Vatinno

Con una intervista a Sergio D'Elia

 

Qualche giorno fa una delegazione del Partito Radicale ha incontrato Bruno Contrada a Palermo.

Ne ho parlato in questo articolo in cui sono ricostruite le ultime vicende:

http://www.affaritaliani.it/i-radicali-incontrano-bruno-contrada-a-palermo-492921.html

 

Contrada, come nuovo iscritto al PR, ha poi rilasciato questa dichiarazione:

 

"Sono stati giorni non di paura ma di ansia e anche di angoscia e di preoccupazione nel senso che non riuscivo a capire quello che mi stava accadendo. Anche perché il tutto è avvenuto pochi giorni dopo la sentenza della cassazione che aveva annullato la mia sentenza di condanna. Sono stati 25 anni di sofferenza fisica e morale per me e per i miei familiari. Per i tanti Bruno Contrada invisibili e contro cui lo Stato si è accanito ho deciso di iscrivermi al Partito Radicale che continua con lo spirito di Marco Pannella a portare avanti le battaglie per la giustizia giusta. Sono contento di questa mia decisione.  

Quando quel 24 dicembre sentii dietro di me chiudersi la porta della cella capii che la mia vita dedicata allo Stato e alle sue istituzioni con abnegazione e assoluta fedeltà e rispetto della legge era finita. Spero che ciò che è accaduto a me non accada ad altri; per impedirlo guardo con molta speranza al vostro operato di radicali per la tutela dello Stato di Diritto e per l’osservanza dei principi che devono essere alla base di uno Stato democratico come è la nostra Repubblica. Credo che la lotta sia lunga ed aspra. Quando il mio avvocato decise di chiedere al Capo della Stato un provvedimento di clemenza nei miei confronti mi ribellai: mai avrei chiesto la grazia a quello Stato da cui mi aspettavo soltanto un ‘grazie’ per il mio modesto operato.

 Questo ultimo colpo che ho subìto lo scorso 26 luglio mi ha veramente colpito: non mi aspettavo che alle 4 di mattina venisse la Polizia nell’abitazione di due anziani di 86 anni. I momenti terribili che ho vissuto dal momento che è squillato il citofono e ho sentito ‘polizia’ sono stati tra i peggiori della mia esistenza: ho creduto che fosse accaduto qualcosa ai miei figli, Guido e Antonio. Mi scoppiava il cuore nel petto e quando mi hanno dato il foglio della perquisizione mi sono rincuorato. Per tanti decenni ho fatto il poliziotto: le perquisizioni non si fanno tra le 20 e le 7, tranne in rari casi motivati di urgenza. Non vedo che urgenza avevano con me. La stessa cosa l’ha subìta mio fratello, anziano, malato e solo in una villa isolata. Tutto questo per cosa? A casa mia per andarsene via dopo qualche ora con l’esito della perquisizione ‘negativo’ come riportato nel foglio. E a mio fratello hanno portato via ritagli di giornali che parlavano di me. Due di questi giornali parlavano di un’altra vicenda: un accadimento della mia detenzione nel carcere militare di Palermo. Durante una udienza mi sentii male e il Tribunale nominò una commissione per valutare la mia compatibilità con la detenzione. La perizia psichiatrica disse che qualora io fossi stato liberato avrei subito uno shock notevole perché ormai ero abituato a rimanere in cella. Quindi era meglio che rimanevo in carcere. Sono stato 31 mesi e 7 giorni in carcerazione preventiva. Io, come ha stabilito la CEDU nel 2014 – violazione articolo 3 della carta europea - , sono stato sottoposto a pena inumana e degradante. La carcerazione preventiva è stato un momento terribile: al rigore dell’ordinamento penitenziario si aggiungevo quello militare. E poi dopo nel carcere di Palermo: una piccola ala della struttura con una cella solo per me, facendo apparire all’opinione pubblica la mia pericolosità sociale. Nonostante questo continuo a rispettare le Istituzione: esercito, polizia, magistratura. Ciò non significa che questa mia devozione vada a tutti gli uomini che compongono queste istituzioni. Non ho odio per nessuno ma conosco il sentimento del disprezzo. Se dovesse mancarmi il rispetto per lo Stato dovrei dichiarare il fallimento della mia vita”.

 

Quella che segue è invece una breve intervista a Sergio D’Elia, dirigente del Partito Radicale e segretario di “Nessuno tocchi Caino”:

 

D: Sergio, che significato ha l’iscrizione di Bruno Contrada al Partito Radicale e che apporto può dare alla battaglia per uno Stato di Diritto in Italia?

R: L’iscrizione è importante perché lui non era stato mai stato iscritto a nessun partito e scegliendo il Partito Radicale ha capito la nostra diversità.

Ne ha colto i connotati costitutivi fondamentali e cioè che è non violento e transpartitico.

La molla che fa scattare l’iscrizione è che è un partito di tutti, non competitivo direttamente sul piano elettorale, ma su quello ideale.

Si tratta della iscrizione di una persona integerrima, grande servitore dello Stato, ma di quello di diritto avendo conosciuto la prepotenza dello Stato e nutrendo la speranza che sia possibile un modo di diverso di concepirlo, insieme alla giustizia.

 

D: So che avete visitato la Fondazione di Leonardo Sciascia. Che rapporto ebbe il grande scrittore siciliano con il Partito Radicale?

R: Il rapporto di Sciascia con il PR ha rappresentato la possibilità di dispiegare una alternativa ai metodi violenti e militareschi, da “tribunale speciale” che si usavano in quegli anni. Sciascia aveva scritto che la mafia non si combatte con la “terribilità”, ma con il diritto e cioè esaltando nel confronto i valori fondamentali dello Stato di Diritto.

 

D: Quale è l’essenza della “carovana della giustizia” che sta attraversando l’intera Sicilia?

R: La carovana sta attraversando la Sicilia - in questo viaggio apparentemente senza meta- ma con la scoperta di cose preziose ed inaspettate.

Abbiamo incontrato persone straordinarie, sindaci, avvocati, gente comune che hanno arricchito l’essenza del viaggio stesso.

Posso anzi dire che è proprio il viaggio in sé è la cosa importante.