Politica
Autonomia, la Consulta boccia in parte la Legge Calderoli. Balboni (FdI) ad Affari: "Si può trovare la giusta soluzione per andare avanti con la riforma"
Il presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato ad Affaritaliani.it
Autonomia, il testo integrale della Consulta
La Corte Costituzionale ha ritenuto "non fondata" la questione di costituzionalità dell'intera legge sull'autonomia differenziata, considerando invece "illegittime specifiche disposizioni" dello stesso testo legislativo. Lo fa sapere Palazzo della Consulta con una nota. Una sorta di pareggio tra le regioni di Centrosinistra che avevano promosso il ricorso alla Consulta e quelle di Centrodestra del Nord che si erano opposte. Fonti leghiste e di maggioranza spiegano che a questo il governo correrà ai ripari per correggere le norme bocciate dall'Alta Corte in tempi molto brevi.
"Si tratta di una sentenza molto complessa che va ponderata con attenzione". Lo afferma ad Affaritaliani.it Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato (Fratelli d'Italia) commentando la decisione della Consulta sulla Legge Calderoli sull'autonomia regionale differenziata. "È però importante sottolineare che la Corte ha sancito che non è fondata la questione di costituzionalità dell'intera legge. Ha soltanto sancito la illegittimità di alcune specifiche disposizioni, affermando che il faro deve essere rappresentato dal principio di sussidiarietà. Credo che in questo contesto si possa trovare la giusta soluzione che permetta di andare avanti con questa riforma che, come sottolinea anche la Corte, deve essere una grande occasione per modernizzare e rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione", conclude Balboni.
IL CENTROSINISTRA ESULTA, MA ORA E' REBUS REFERENDUM
La soddisfazione per aver avuto la conferma delle riserve mosse sulla riforma dell'Autonomia differenziata. Ma anche l'incertezza su quel che accadra' ai quesiti referendari. Perche' difficilmente il referendum potra' andare avanti, come osservano fonti parlamentari del Pd. Certo, viene spiegato, per ogni considerazione occorrera' attendere la sentenza, visto che quello fornito dalla Consulta e' solo un comunicato. Tuttavia, "la Consulta ha rinviato la palla al Parlamento, la legge e' stata colpita al cuore e se il Parlamento la cambia diventa un'altra legge. Il referendum decade", come sottolinea un esponente dem che si e' occupato del dossier. L'altra possibilita' e' che governo e parlamento non intervengano lasciando decadere i punti segnalati dalla Corte Costituzionale. A quel punto, si potrebbe andare avanti con il referendum per la parte che rimane in piedi, "ma e' difficile", e' il ragionamento. Nonostante le difficolta', Italia Viva ha gia' fatto sapere di voler procedere con il referendum, anche "per dare una spallata al governo". Spiegano dal partito di Renzi che "Italia Viva ha accolto la notizia della bocciatura della Legge Calderoli mentre era in corso la Cabina di Regia nazionale. Avevamo chiesto a Calderoli alcune modifiche proprio sui punti bocciati dalla Corte. Ora e' fondamentale che si vada al referendum come chiesto da seicentomila italiani per cancellare definitivamente la follia della Lega e dare una spallata a un Governo incapace e inconcludente". Da Avs a M5s, da Pd a Calenda i partiti festeggiano quello che considerano il colpo del 'KO' alla riforma Calderoli e al suo stesso ideatore.
"L'Autonomia differenziata del governo Meloni fa la fine che doveva fare: bocciata per incostituzionalita'", dice il responsabile Esteri del Pd, Peppe Provenzano: "Tutte le norme piu' rilevanti della legge sono state dichiarate illegittime dalla Consulta. Ora la Calderoli deve tornare in Parlamento, il Calderoli dovrebbe andare a casa", chiosa Provenzano. Il responsabile Riforme della segreteria dem si sofferma sui punti contestati: "Non si possono trasferire intere materie o ambiti di materie. Ma solo specifiche funzioni legislative e amministrative giustificandole in relazione alla singola regione e in base al principio di sussidiarieta'. Cosi' come si riconosce la limitazione del ruolo del Parlamento nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e l'illegittimita' del ricorso al DPCM per individuarli, come abbiamo piu' volte denunciato. Prevede, come richiesto a gran voce dalle opposizioni, la possibilita' per le Camere di emendare le intese ridando centralita' al Parlamento e fa saltare la furbizia del governo di dividere tra materie LEP e non LEP. E soprattutto mette in evidenza che non si fanno le nozze con i fichi secchi", elenca Alessandro Alfieri. "La clausola di invarianza finanziaria e' una solenne presa in giro. Anche qui la Corte afferma una delle critiche principali che abbiamo sollevato nel dibattito parlamentare: l'individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi per finanziare le funzioni 'dovra' avvenire non sulla base della spesa storica, bensi' prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard... liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che restano comunque a carico dello stesso'. Che dire? Colpita e affondata", conclude. Giuseppe Conte ricorda la genesi della riforma, con gli incidenti in Aula alla Camera che hanno coinvolto, suo malgrado, il deputato M5s Donno: "Abbiamo combattuto in Parlamento, prendendo anche pugni, nelle piazze a suon di firme, con la nostra governatrice Alessandra Todde, che si e' vista accogliere i motivi del ricorso. Oggi la Corte costituzionale frena il progetto di Autonomia con cui Meloni, Salvini e Tajani volevano fare a pezzi il tricolore e la nostra unita'", sottolinea il presidente M5s che conclude: "L'Italia e' una e solidale, la difenderemo sempre, con la massima determinazione. Con la piu' intensa passione. Se ne facciano una ragione".
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio Comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.
Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.
I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.
In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.
La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:
la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:
l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.
Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.
La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.
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