Domenica a Bologna riunione dei Prodi Boys. E' la fine del Pd?
Il centurione Romano pronto ad abbandonare la "tenda".
Domenica a Bologna ci sarà l’iniziativa politica di Giulio Santagata, già ministro ulivista del programma dell’Unione, che vedrà la partecipazione dei “Prodi boys”, come è il caso di Franco Monaco.
Una iniziativa per vedere se c’è la possibilità di costruire una “cosa bianco- azzurro- verde” (i colori dell’Ulivo) a sinistra del Pd e a destra di Mdp.
E questo perché le quotidiane tensioni che si manifestano nel Partito Democratico e che hanno già portato alla fuoriuscita da esso di esponenti di primissimo piano come Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani confluiti nell’ Mdp (Movimento democratico e progressista), ed anche di figure di alto livello istituzionale come il Presidente del Senato Piero Grasso, pongono interrogativi politici rilevanti sui processi in atto in quello che è stato un progetto iniziato nel 1995 con l’Ulivo (due le vittorie elettorali nel 1996 e nel 2006) e che vedeva in Romano Prodi l’ispiratore e la forza propulsiva.
Progetto politico che poi si è concretizzato fattivamente dieci anni fa, nel 2007, con la fusione dei Democratici di sinistra (Ds) e de La Margherita nel Partito Democratico.
I Ds erano gli eredi del Partito democratico di sinistra (Pds) che a sua volta discendeva dal Partito comunista italiano (Pci), mentre la Margherita rappresentava la successiva evoluzione e il consolidamento degli eredi della Democrazia Cristiana nella componente di sinistra, quella più sociale; insomma, si trattò di quel “compromesso storico” che si realizzò molto tempo dopo l’idea originale ed in forma ridotta ,ma pur sempre significativa e della sintesi politica delle due ideologie che dominarono gran parte del “secolo breve”, il novecento, come lo definì efficacemente lo storico Eric Hobsbawm.
Il processo di sintesi e di amalgama fu possibile anche alla luce dell’esperienza anglosassone e precipuamente americana del Partito Democratico e cui, in Italia fece da contraltare la Casa delle Libertà che in qualche modo si proponeva come imitazione, a sua volta, del Partito Repubblicano d’oltreoceano con sintesi del liberalismo di Forza Italia di Silvio Berlusconi e della destra di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, “sdoganata” politicamente proprio dall’imprenditore milanese nel celebre discorso di Casalecchio di Reno nel 1993.
Così il Partito democratico italiano ha vissuto dieci anni che hanno visto grandi trasformazioni politiche, ma soprattutto sociali, nel nostro Paese e le inevitabili leggi della sociologia politica hanno portato fuori dal partito stesso, oltre D’Alema e Bersani, anche Romano Prodi e Francesco Rutelli che della Margherita fu l’ideatore (e di cui Prodi faceva parte con qualche tensione) e a cui va riconosciuto il merito di essere uno dei realizzatori politici dell’idea iniziale dell’Ulivo passato anche dall’esperienza dei Democratici (simbolo l’asinello, lo stesso del Partito Democratico Usa) fondato da Romano Prodi nel 1999 in occasione delle europee) e da quella della coalizione dell’Unione.
La venuta dell’imperatore bizantino dalle terne d’Arno a fine 2013 ha prodotto un grande cambiamento, ma Matteo Renzi non è la causa del disciogliersi del Partito Democratico ma bensì ne è l’effetto in quanto se non ci fossero state le condizioni adatte, come sempre avviene in politica, non si sarebbe potuto manifestare nelle forme e nei modi di una così evidente eccezionalità, visto che pur non avendo mai vinto una competizione politica italiana (raggiunse un clamoroso 40% alle europee del maggio 2014) e non essendo mai stato in Parlamento ha governato mille giorni tentando di fare con l’Italia quello che aveva fatto col PD, ma è stato bloccato in questa sua corsa dalla sconfitta nel referendum del dicembre scorso sulle riforme istituzionali, che poteva evitare o comunque non colorarlo dell’enfasi eccessiva da cui poi non ha potuto più sottrarsi.
In ogni caso, Renzi nel periodo che ha governato è riuscito a raggiungere una visibilità inaspettata a livello internazionale, soprattutto per l’amicizia con l’allora presidente Usa Barack Obama.
Ora il PD rischia, come quelle molecole che sono composte da due atomi di segno opposto e che sono sottoposte ad un intenso campo magnetico; rischia di scindersi nelle sue due componenti originarie, naturalmente non nei Ds e nella Margherita che non ci sono più, ma che sono presenti come idea profondamente radicata nella matrice stessa del PD originario, ma nelle loro evoluzioni residuali. Da questo processo potremmo infatti ritrovarci una Nuova Margherita e dei nuovi Democratici di sinistra.
Ed è questo il senso della preoccupazione dei padri fondatori e soprattutto di Romano Prodi e in parte di Piero Fassino, una preoccupazione senza dubbio elettorale di costituire una coalizione che abbia una qualche possibilità di giocarsi la partita contro gli altri due poli, il centro-destra e i Cinque Stelle che a questo momento paiono favoriti, una preoccupazione dicevo, anche per i valori fondanti di un progetto che prevedeva, insieme all’unione delle due componenti storiche delle forze politiche che si opponevano nel periodo della Guerra fredda, la trasformazione dell’Italia in senso moderno e democratico; una transizione rimasta a metà per diversi motivi, ma che ha comunque segnato un cambiamento sociale rilevante sia nel bene che nel male.
Adesso il centro - sinistra potrà salvarsi solo se il centurione Romano -se mi si permette il gioco di partole-uscirà dalla sua tenda che, è bene ricordarlo, è sempre lì appena fuori l’accampamento del PD.