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Politica
Governo, ora le critiche superano le lodi: anche Mario Draghi ha dei limiti

Draghi è un grande economista ma è un economista keynesiano, e non keynesiano classico (cioè di quelli che considerano l’ “acceleratore” di Keynes un provvedimento congiunturale) ma di quelli che aderiscono alla teoria del deficit spending (si veda come ha guidato la Banca Centrale Europea). Cioè della teoria secondo cui bisogna fare debiti per dare denaro gratis alla gente affinché spenda e rimetta in moto l’economia. Cosa che troppo spesso poi non succede. Invece la supply side theory, molto meno di moda, consiglia, sempre per rilanciare l’economia, di produrre maggiore ricchezza e offrirla sul mercato. Sistema che non produce debiti e sicuramente produce ricchezza; ma i “keynesiani” non la pensano così.

Draghi nel 2011 ha impedito che l’Italia fallisse, ma il sistema con cui si è proseguito a farlo non è quello giusto. L’Italia ha rischiato di fallire perché troppo indebitata e sostanzialmente insolvibile, e oggi, a dieci anni di distanza, è molto più indebitata e molto meno solvibile di allora. Né Draghi ha cambiato idea, infatti si parla ancora oggi di “scostamento di bilancio” (cioè ulteriori debiti) e se all’inizio della pandemia il nostro debito era all’incirca del 134% del prodotto interno lordo, oggi si avvicina – dicono – al 170%. Grazie al cielo, tuttavia, nel frattempo la teoria è cambiata. Oggi si dice che: “si possono fare debiti all’infinito”, “i debiti non si pagano mai” e, “tutte le ciambelle riescono col buco”. Buona fortuna ai nostri nipoti.

Draghi è un italiano del suo tempo e se è abile nelle technicalities dell’economia (non ne dubito) non sono sicuro che abbia la teoria generale giusta. Ma anche se avesse la teoria giusta, se anche fosse un fervente del “liberismo selvaggio”, come lo chiamano quelli che non lo conoscono, non potrebbe far nulla, perché l’Italia intera è irremovibilmente ferma all’altra teoria. Quella per cui tutta la politica consiste nello spazzare la polvere sotto il tappeto.

Meglio Draghi che Conte, certo. Ma mi chiedo se non abbiamo soltanto cambiato la divisa del becchino.

 

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