Politica

Covid-19, duro colpo al PIL e (possibile) fine dei populismi. Nemesi storica

di Simone Rosti

 

Moody’s qualche giorno fa ha previsto per l’Italia un -0,5% del nostro PIL nel 2020. E’ grave? Senza dubbio si, però attenzione non è la fine del mondo, restiamo un paese ricchissimo in termini assoluti (pur a fronte di un trend preoccupante), ma il nostro problema non è tanto il PIL ma si chiama soprattutto debito (che impatta il rapporto debito/PIL). A proposito, che fine hanno fatto i paladini della decrescita felice? Forse sono a far compagnia ai paladini no vax, tutti spariti dalla circolazione. Il Coronavirus sta (giustamente) monopolizzando l’informazione (sorvoliamo sul come) e in un qualche modo sta facendo tabula rasa del recente passato. Erano solo pochi mesi fa che la nostra classe politica dibatteva sulla necessità o meno dei vaccini, i no vax rivendicavano diritti di scelta a prescindere dal diritto di una comunità superiore, come ad esempio una scuola, a essere tutelata. Insomma il solito campionario di bestialità. Sono convito che, non appena sarà pronto un vaccino contro il Covid 19, questi paladini saranno i primi a vaccinarsi, e forse dovrebbero guardarsi allo specchio provando un po’ di vergogna per aver scatenato un dibattito surreale che aveva il solo scopo di inseguire le sirene populiste per strappare qualche voto. Ma torniamo agli impatti economici. E’ ovvio che la Commissione europea ci darà maggiore flessibilità (cosa sempre avvenuta in casi di emergenza), sarebbe folle se non lo facesse, però deve essere altrettanto chiaro che, ancora una volta, l’Italia aumenterà la spesa a debito, il cui effetto sarà quello di aumentare le cambiali che le prossime generazioni dovranno pagare. Ecco perché la decrescita felice è una stupidaggine: un modello di sviluppo che cresce poco non ha alcuna possibilità di sostenere spese crescenti (qui ci sarebbe però da aprire un lungo capitolo sulla spesa improduttiva da tagliare). Anche questi paladini dovrebbero guardarsi allo specchio provando un po’ di vergogna, per aver inculcato a molti elettori che bisogna lavorare meno (folle in un paese che ha un atavico problema di produttività) e fare più defict, ignorando che un mix del genere ci condanna ancora di più all’irrilevanza economica. Anche durante questi momenti concitati, dove chi governa si trova a fronteggiare una situazione inedita e, nonostante i palesi errori fatti, cerca di trovare una sintesi di sopravvivenza, qualcuno la butta in caciara sostenendo che il premier è un criminale e che non servono 7 miliardi ma 50 miliardi. Di fronte a queste idiozie premeditate non c’è molto da dire, servono solo a seminare caos quando non ce ne sarebbe bisogno, perché chiedere 50 miliardi (una cifra enorme che vale diverse manovre di bilancio) senza dare uno straccio di linea sul come, qualifica semplicemente chi fa queste affermazioni come un totale incompetente, o furbo, perché sa che tali idiozie sono pillole di viagra regalate a un popolo eccitato. Ma forse stavolta il gioco non funziona più. Se c’è una cosa, infatti, che il Coronavirus sembra stia facendo emergere nella coscienza collettiva, é che non si possa abdicare alla competenza, sia per gestire un’emergenza sanitaria che economica e, aggiungo, anche nell’ordinaria amministrazione quando ci si deve preparare a fatti drammatici come questo. Per qualche anno ci siamo illusi che bastavano cittadini onesti, ex stewart, nullafacenti cronici, per governare complesse macchine amministrative e istituzionali, bastava sporgersi da un balcone e affermare con sicumera (senza alcuna evidenza empirica) che la povertà era stata sconfitta, dichiarare che avremmo trasformato in un parco giochi una delle maggiori aree industriali, che avremmo aggregato le ferrovie agli aerei (un obbrobrio di cui ancora oggi si ride), e così via ogni giorno una nuova. Poi arriva il Covid-19, tutto diventa vulnerabile, le panzane non sembrano più attrattive, gli affabulatori di facili ricette sembrano spariti dalla circolazione, e ci si aggrappa all’unica ancora possibile: la competenza. Ci dobbiamo solo augurare che la scienza sia rapida nel trovare un vaccino, dobbiamo confidare in rappresentanti che sappiano governare la complessità e che sappiano interloquire con le istituzioni sovranazionali. Se c’è un aspetto positivo di questa drammatica situazione è che tutti noi stiamo toccando con mano che solo la preparazione, lo studio e la fermezza ci faranno uscire da questo tunnel. Tutti aspetti che saranno ancora più utili e necessari nella fase successiva all’emergenza, quando si tratterà di ricostruire. A partire dalla scuola (vecchia di vent’anni e non certo pronta all’e-learning che ora avrebbe salvato molte lezioni), il sistema pensionistico (contraddistinto dalla sperequazione a danno dei giovani), li sistema produttivo, la ricerca (che resta in % irrisorie rispetto al PIL, nonostante i successi di molti nostri laboratori), il riequilibrio dei conti pubblici con un serio piano di rientro dal debito. Per fare tutto questo non servirà la spocchia di chi grida lupo al lupo, di chi scambia il debito pubblico a un salvadanaio a fondo perduto, non servirà trovare sempre nemici da esporre al pubblico ludibrio (ora che il “nemico” non proviene dai barconi dei disgraziati, ma è impalpabile e fortissimo), non serviranno le baggianate di quota 100, non serviranno gli avatar che cercano lavori ai percettori dell’inutile reddito di cittadinanza, non servono solo tagli dei parlamentari fini a se stessi. Serviranno invece amministratori che raccontano la verità e che ci obbligano a misure rigorose che non faranno guadagnare voti o forse stavolta si. È finito il gioco delle farsesche primarie online, di piattaforme private che teleguidano gli eletti, degli streaming show, di coalizioni politiche giallo-verdi o giallo-rosse con l’unico collante del potere, di improvvisati ministri e deputati privi della minima cultura istituzionale.